giovedì 8 marzo 2012

Maschere per un massacro - Recensione

Quello che non abbiamo voluto sapere della guerra in Jugoslavia

La guerra è costruita per essere un evento televisivo, tutto è diventato apparenza, rappresentazione, la verità sembra non essere in alcun luogo. Ormai non destano più scalpore le notizie di raid aerei o kamikaze che si fanno esplodere, bombe che distruggono, bambini che muoiono, donne e uomini che soffrono, siamo anestetizzati e assuefatti nei confronti di un certo tipo di notizie. Siamo più tristemente interessati a conoscere amanti, love story, moventi, alibi, zie e cugini di persone a noi personalmente sconosciute ma idealmente molto vicine e intime.

Paolo Rumiz nel suo “Maschere per un massacro”, edito da Feltrinelli nell’”Universale Economica” nel 2011, ripercorre gli avvenimenti che hanno segnato in particolare la guerra degli anni ’90 nei Balcani, contrassegnata da una profonda dezinformacija regista di scene di numerosi massacri. 
La verità occultata da un diluvio di sangue, degno del miglior pulp di Quentin Tarantino, quello vero pare essere meno emozionante, più si ripete e meno diventa importante come notizia, muove lo stomaco ma non il cervello impedendo di guardare al contesto. Soprattutto il sangue confina la nostra indignazione alla sfera morale e umanitaria, e quindi ci impedisce di arrivare alle radici vere dello scontro, che sono politiche.

Rumiz sviscera le ragioni, prevalentemente razziali, che hanno scatenato la guerra, con protagonisti i serbi, i croati e i bosniaci, ma sofferma la sua attenzione sulla costruzione mediatica che ne è stata fatta.
C’era dell’incredibile nell’apprendere che grandi potenze, seppur forti di sofisticati servizi segreti, rimanessero spiazzate da eventi già annunciati, che persino giornali regionali erano stati in grado di prevedere fin nei dettagli. E non solo, la guerra dei Balcani risulta carica di anomalie: serbi che chiedono ai croati di essere bombardati, biblioteche scelte come obiettivi, case dei ricchi distrutte prima di quelle dei poveri, croati che vendono sottobanco carburante ai nemici serbi, serbi che affittano carri armati ai nemici croati, psichiatri in tuta mimetica.

Il libro apre tanti spiragli sulla triste vicenda dei Balcani, citando tra l’altro anche molti scrittori che ne hanno scritto nel corso degli anni. I sociologi hanno definito questa guerra un grande “acceleratore di processo”, stimolatore ideale di una selezione sociale, economica, finanziaria, politica, militare, demografica e perfino antropologica favorevole al potere; da un punto di vista politico ha creato una massa enorme di esuli, accentuando il sistematico sradicamento umano.
L’autore ricorda tra i tanti massacri la tragedia di Srebrenica del luglio ’95 e il vergognoso silenzio dell’Europa sugli ottomila bosniaci massacrati da Mladić, pulizia etnica tra l’altro scandalosamente giustificata da Washington.

Rumiz definisce la storia della guerra dei Balcani una colossale fregatura, quella di quattro banditi che sono riusciti a sdoganare col mondo intero le necessità criminali di una casta come necessità geostrategiche indispensabili alla pace planetaria, spacciando come stabilizzazione uno squilibrio fondato sul crimine e sullo sradicamento.

Nella primissima edizione del libro, di Editori Riuniti, Claudio Magris nell’introduzione scriveva che "la guerra mette a nudo la verità degli uomini e insieme la deforma. Ci sono tanti aspetti di questa verità; uno di essi è la cecità generale - cecità delle vittime, degli spettatori (i servizi d'informazione occidentale, oscillanti tra esasperazione, ignoranza o rimozione dell'orrore e fra cinismo e sentimentalismo) e della grande politica, che nel libro di Rumiz fa una figura grottesca".

08.03.2012
di Sara Fiorente   

2 commenti:

  1. Grazie all'autore e alla recensione per il contributo fornito alla memoria della guerra, in particolare di questa guerra europea che l'Europa cerca di dimenticare. Una rimozione comoda, ma a lungo termine distruttiva.

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