venerdì 26 ottobre 2012

"La magistratura ha fatto la cosa giusta, ma la produzione non può fermarsi": parla un operaio dell'Ilva


Intervista a cura di Vito Stano

Il rapporto “Sentieri” presentato a Taranto dal ministro della Salute Renato Balduzzi è stato un momento di svolta, i dati ivi contenuti hanno raccontato una realtà inconfutabile: percentuali altissime di casi di tumore e la particolarità di questa strage silenziosa è che a subire il maggior danno sono le donne. Adesso nessuno può più insistere col muro contro muro. I danni ci sono e nessuno può più pensare di smentirli. Dalla decisione della magistratura di sequestrare gli impianti a caldo della “fabbrica” le cose sono irreversibilmente cambiate; ad oggi operai e ambientalisti, per quanto attestati su posizioni diverse, sono comunque più vicini. Addirittura molti operai riconoscono le ragioni degli ambientalisti e dei comitati tarantini per la salute. Di questo cambio di rotta ne abbiamo parlato con un operaio dell’Ilva, il quale per ragioni di tutela ha preferito restare anonimo.
Come stai vivendo questi giorni convulsi? Non hai paura delle probabili conseguenze sulla salute non solo degli operai, ma anche di molti cittadini ignari residenti a Taranto?
Sicuramente questa situazione la vivo con apprensione. La magistratura sta facendo bene, perché questi problemi ci sono da tanto tempo. Comunque noi lavoriamo come sempre, perché ci teniamo al nostro lavoro e lo facciamo con piacere. E anche perché ogni dodici del mese ci arriva lo stipendio. È una sicurezza. Con tutto questo clamore, ci siamo chiesti se lo stipendio sarebbe comunque arrivato puntuale.
Ed è stato così?
Sì.
Avete avuto paura che l’azienda facesse una sorta di ritorsione sul salario?
Sì, però così non è stato. Tutto è stato nella norma.
Cosa pensavate voi operai prima che questa situazione esplodesse?
Personalmente non ci pensavo per niente. Si vive così alla giornata. Non pensando a ciò che l’Ilva causa. Perché nessuno ce l’aveva messo in testa, non se n’è mai parlato.
Quindi c’era un vuoto da questo punto di vista andavate a lavorare senza preoccuparvi di nulla?
Sì nessuno ce ne ha mai parlato, neanche il sindacato. Questa è stata una pecca, perché il sindacato non ha detto nulla?
Perché?
Sono corrotti. È evidente che sono corrotti.
Questa situazione come ha inciso sui rapporti all’interno della fabbrica?
Sicuramente all’interno siamo più vicini. Prima se veniva il tuo capo reparto e ti diceva di fare qualcosa non potevi rifiutare, altrimenti venivi trasferito da un’altra parte. Adesso le cose sono cambiate, ci pensano di più, prima di fare qualcosa del genere. Io parlo di questi episodi perché a livello ambientale la mia situazione non è difficile.
In quale reparto lavori?
Io lavoro al Pla, cioè produzione lamiere. Dove fanno la lamiere che vanno al tubificio. L’area a caldo, composta da acciaieria, altoforni, cokerie e parchi minerali, è quella dove si concentrano i problemi ambientali più importanti.
Quindi gli ambientalisti non avevano torto? Le posizioni degli operai e dei comitati cittadini sono oggi più vicine?
Ritengo che gli ambientalisti hanno ragione. Quindi per noi operai, ma questo vale anche a livello di dirigenti, capi reparto e ingegneri, l’azienda si deve attivare per proteggerci, per farci lavorare bene senza correre il rischio che tra dieci anni… Purtroppo ho già vissuto situazioni di lutti di colleghi che sono morti di tumore o d’infarto sul posto di lavoro o a casa. Sabato scorso un collega è morto d’infarto, a casa però.
E la causa è da ricercarla nel tipo di lavoro che faceva?
Forse sì. Forse sarà stato causato dallo stress dei turni, credo.
Dove lavorava?
Nello stesso reparto in cui lavoro io, alla produzione lamiere, su un carro ponte.
È un lavoro pesante?
Sicuramente è un lavoro di responsabilità, perché sotto di te lavorano altri operai. Devi tenere gli occhi aperti, sempre. È bene dire che il lavoro sulle gru non ti stanca fisicamente, ma mentalmente. Il livello di concentrazione deve essere sempre alto. E questo provoca molto stress.
Dunque la situazione lavorativa non è delle più facili. Inoltre il rischio di scoprire in futuro di avere una brutta malattia non ti ha mai fatto pensare di lasciare?
Sinceramente no, perché comunque il lavoro all’Ilva è una sicurezza economica. E poi non è che in fabbrica muoiono così tante persone.
Sul posto di lavoro per incidenti magari no, però molti hanno scoperto di avere tumori o altre malattie direttamente collegate all’ambiente in cui avevano vissuto?
Diciamo che non ci pensi… è meglio non pensarci.
E la vita continua, cantava Vasco Rossi. Ci si assume il rischio di andare a lavorare.
Pensi che a te non succederà niente di brutto e vai avanti.
Ritornando ai sindacati, tu sei iscritto ad un sindacato?
Si, alla Uilm.
Che in questa vertenza si è schierata contro la magistratura.
No, contro la magistratura no; perché ciò che sta facendo la magistratura è giustissimo. Quello che non condividiamo pienamente con la magistratura è la decisione di chiudere la fabbrica per modernizzare gli impianti.
Cioè l’Ilva non si deve fermare?
No, non deve chiudere, deve continuare a produrre.
Perché?
Per vari motivi: se chiudi a noi lavoratori dove ci metti? La cassa integrazione hanno detto che non c’è, quindi c’è la mobilità. Oppure si parla di messa in libertà: cioè si va a casa senza lavoro, ma si resta comunque dipendenti Ilva in attesa che la situazione si sblocchi. Di questo si sta parlando in azienda. E poi se non produci perdi il mercato e come lo riprendi il mercato che avevi tra quattro, cinque o sei anni? Quattro o cinque miliardi di investimento come li recuperi? A prescindere dal fatto se loro (la proprietà dell’Ilva, Ndr) se li sono già guadagnati… sicuramente hanno guadagnato anche di più.
La Uilm e la Fim sono sulle stesse posizioni.
Sì, far fermare gli impianti poco per volta, continuando a produrre. Così come ha detto il ministro dell’Ambiente Clini. Personalmente condivido la posizione del mio sindacato (Uilm, Ndr).
Parliamo del sindacato e di quello che fino a ieri faceva. Si sentiva la presenza del sindacato?
No, non la sentivi per niente. Lo sentivi solo quando c’era da fare uno sciopero, non lo vedevi mai in giro. A parte la Cgil, più presente per un periodo rispetto agli altri. Adesso con questa situazione è uscito il sindacato. Per farmi capire meglio voglio raccontare un episodio. Noi abbiamo lottato per ottenere il cambio tuta, cioè quel tempo durante il quale l’operaio si cambia l’abbigliamento, aspetta l’autobus interno che ti porta al reparto e poi di nuovo allo spogliatoio alla fine del turno. Questo tempo fino a poco tempo fa non era retribuito. Noi abbiamo fatto qualche sciopero, ci siamo fatti sentire. E siamo arrivati a un accordo: tutti e tre i sindacati, se non erro, sono partiti da cinque euro di retribuzione in più al giorno e cinque-sei mila euro di arretrati, per gli ultimi dieci anni di lavoro, per ogni operaio.
Com’è andata a finire?
Ci sono state varie trattative tra azienda e sindacati, la Cgil s’è fatta fuori e siamo arrivati a un euro e novanta centesimi al giorno e millesettecentocinquanta euro di arretrati. Da come erano partite le richieste a quello che i sindacati hanno ottenuto c’è una bella differenza. Perché?
Appunto perché?
Perché i sindacati hanno “mangiato”. Noi questo accordo lo abbiamo firmato da ignoranti, così vogliamo essere chiamati, perché credevamo che il sindacato ci stesse proteggendo invece ce l’ha messo a quel posto! Abbiamo firmato a gennaio, a febbraio invece gli operai dell’Ilva di Genova hanno avuto cinque euro al giorno e circa cinque mila euro di arretrati. Perché?
Perché?
Perché lì hanno le palle. Perché il sindacato lì non è corrotto come il nostro.
Magari anche gli operai hanno una maggiore coscienza.
Sicuramente, ma anche più coraggio.
Forse anche perché la situazione al nord è tale da far sentire gli operai meno sotto scacco.
Da noi si diceva che se non accettavi l’accordo ti creeranno problemi. Queste erano le voci che giravano. Ti sposteranno in aree dove sarai sottoposto a maggiore stress. Cose di questo genere. Quindi siamo stati anche costretti a firmare. Molti non hanno firmato e sono andati per vie legali: e poi si sono ritirati perché il gioco non valeva la candela.
Della serie prendi i soldi e zitto.
Sì. Fai conto che non ti spettavano e hai avuto millesettecentocinquanta euro così dal nulla, regalati. Questo episodio dice bene chi è e cosa faceva il sindacato in azienda prima che succedesse quello che tutti adesso sappiamo.
Non si era mai visto che caschi rossi e caschi bianchi (operai e impiegati) si unissero per un destino comune. Quale è stata la scintilla?
Inizialmente per garantire il posto di lavoro. Durante i primi scioperi eravamo uniti contro la magistratura. Però poi le numerose notizie fuoriuscite e le intercettazioni in cui politici e giornalisti, preti e vescovi dicevano di tutto e di più... Cose impensabili, nessuno di noi immaginava tutto questo. Dopo tutte quelle notizie abbiamo riconosciuto che la magistratura aveva ragione.
E invece per quanto riguarda la sicurezza sul posto di lavoro ci sono stati progressi?
L’azienda su questa questione ha fatto qualcosa di giusto, mettendoci in condizione di non subire più troppi infortuni.
In che modo?
Istituendo il Sil, cioè un organismo che si occupa della sicurezza interna. Inoltre l’azienda ha istituito un premio di cento euro, se non sbaglio, che ogni operaio riceve quando gli infortuni mensili nel proprio reparto sono inferiori a quaranta. 
Uno strumento utile a far alzare il livello di attenzione.
Questa piccolezza ci fa tenere ancora di più gli occhi aperti. Ma non c’è solo questo: anche a livello di macchinari oggi c’è più sicurezza.
Lo “Speciale Taranto” che ospitiamo sul blog è iniziato con la recensione di “Invisibili” libro scritto a due mani da Fulvio Colucci e Giuse Alemanno. Ti senti anche tu invisibile agli occhi della città?
No, io non la sento lontana anzi, anche perché se Taranto perde l’Ilva perde anche un giro economico non indifferente. Per questo bisogna mettere in condizione la fabbrica di non inquinare, perché così non si può andare più avanti.
Nel libro “Invisibili” Alemanno racconta che gli operai giocano a calcetto in una struttura messa a disposizione dall’azienda anziché parlare di politica. È vero?
C’è una struttura a Taranto che è dell’azienda e che la stessa l’ha ceduta al sindacato. Lì i sindacalisti e i loro famigliari possono giocare, riunirsi e fare mangiate, non gli operai. Tutto ciò serve a farli stare in silenzio, come hanno fatto fino a pochi mesi fa.
Quindi si può dire che il sindacato era l’alleato interno della proprietà?
Sì, l’alleato fondamentale.
Invece i tuoi famigliari, tua moglie, i tuoi amici cosa pensano? Cosa ti dicono?
È una situazione brutta, perché per un genitore o per una moglie sapere che il proprio figlio o il proprio marito possa perdere il posto di lavoro non è una cosa bella. Speriamo che la situazione si risolva al meglio, speriamo che l’azienda investa. Noi aspettiamo che qualcuno ci comunichi quello che sta succedendo. Noi non sappiamo niente, la proprietà non sta a Taranto. Quello che sappiamo lo leggiamo sui giornali.

2 commenti:

  1. sull'operaio intervistato mi sarebbe piaciuto sapere da quale parte della Puglia o di altra regione provenisse... Rifiuto il dilemma: " se l'ilva chiude gli operai dove li mettiamo..." La legge dice che chi ha inquinato deve pagare.. Applicando questo semplice dettato si intuisce che i soggetti che dovranno risarcire sono 2: lo stato e la proprietà ilva. Con quei soldi si mettono in moto le bonifiche che dureranno decine d'anni.. e a bonificare, previo corso di formazione, saranno gli stessi operai. E' questa la strada giusta: cittadini e lavoratori non potranno che trarre solo benefici. Per tenere inalterate le cose NON serve il coraggio, è invece per cambiare che ne occorre tanto..per questo occorrono politici, amministratori lungimiranti non certamente gli attuali.

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