Intervista a cura di Vito Stano
Il rapporto “Sentieri”
presentato a Taranto dal ministro della Salute Renato Balduzzi è stato un momento
di svolta, i dati ivi contenuti hanno raccontato una realtà inconfutabile:
percentuali altissime di casi di tumore e la particolarità di questa strage
silenziosa è che a subire il maggior danno sono le donne. Adesso nessuno può più
insistere col muro contro muro. I danni ci sono e nessuno può più pensare di
smentirli. Dalla decisione della magistratura di sequestrare gli impianti a
caldo della “fabbrica” le cose sono irreversibilmente cambiate; ad oggi operai
e ambientalisti, per quanto attestati su posizioni diverse, sono comunque più
vicini. Addirittura molti operai riconoscono le ragioni degli ambientalisti e
dei comitati tarantini per la salute. Di questo cambio di rotta ne abbiamo
parlato con un operaio dell’Ilva, il quale per ragioni di tutela ha preferito
restare anonimo.
Come
stai vivendo questi giorni convulsi? Non hai paura delle probabili conseguenze
sulla salute non solo degli operai, ma anche di molti cittadini ignari
residenti a Taranto?
Sicuramente questa
situazione la vivo con apprensione. La magistratura sta facendo bene, perché
questi problemi ci sono da tanto tempo. Comunque noi lavoriamo come sempre,
perché ci teniamo al nostro lavoro e lo facciamo con piacere. E anche perché
ogni dodici del mese ci arriva lo stipendio. È una sicurezza. Con tutto questo
clamore, ci siamo chiesti se lo stipendio sarebbe comunque arrivato puntuale.
Ed
è stato così?
Sì.
Avete
avuto paura che l’azienda facesse una sorta di ritorsione sul salario?
Sì, però così non è stato.
Tutto è stato nella norma.
Cosa
pensavate voi operai prima che questa situazione esplodesse?
Personalmente non ci pensavo
per niente. Si vive così alla giornata. Non pensando a ciò che l’Ilva causa. Perché
nessuno ce l’aveva messo in testa, non se n’è mai parlato.
Quindi
c’era un vuoto da questo punto di vista andavate a lavorare senza preoccuparvi
di nulla?
Sì nessuno ce ne ha mai
parlato, neanche il sindacato. Questa è stata una pecca, perché il sindacato
non ha detto nulla?
Perché?
Sono corrotti. È evidente
che sono corrotti.
Questa
situazione come ha inciso sui rapporti all’interno della fabbrica?
Sicuramente all’interno
siamo più vicini. Prima se veniva il tuo capo reparto e ti diceva di fare
qualcosa non potevi rifiutare, altrimenti venivi trasferito da un’altra parte.
Adesso le cose sono cambiate, ci pensano di più, prima di fare qualcosa del
genere. Io parlo di questi episodi perché a livello ambientale la mia
situazione non è difficile.
In
quale reparto lavori?
Io lavoro al Pla, cioè
produzione lamiere. Dove fanno la lamiere che vanno al tubificio. L’area a
caldo, composta da acciaieria, altoforni, cokerie e parchi minerali, è quella
dove si concentrano i problemi ambientali più importanti.
Quindi
gli ambientalisti non avevano torto? Le posizioni degli operai e dei comitati
cittadini sono oggi più vicine?
Ritengo che gli
ambientalisti hanno ragione. Quindi per noi operai, ma questo vale anche a
livello di dirigenti, capi reparto e ingegneri, l’azienda si deve attivare per
proteggerci, per farci lavorare bene senza correre il rischio che tra dieci
anni… Purtroppo ho già vissuto situazioni di lutti di colleghi che sono morti
di tumore o d’infarto sul posto di lavoro o a casa. Sabato scorso un collega è
morto d’infarto, a casa però.
E
la causa è da ricercarla nel tipo di lavoro che faceva?
Forse sì. Forse sarà stato
causato dallo stress dei turni, credo.
Dove
lavorava?
Nello stesso reparto in cui
lavoro io, alla produzione lamiere, su un carro ponte.
È
un lavoro pesante?
Sicuramente è un lavoro di
responsabilità, perché sotto di te lavorano altri operai. Devi tenere gli occhi
aperti, sempre. È bene dire che il lavoro sulle gru non ti stanca fisicamente,
ma mentalmente. Il livello di concentrazione deve essere sempre alto. E questo
provoca molto stress.
Dunque
la situazione lavorativa non è delle più facili. Inoltre il rischio di scoprire
in futuro di avere una brutta malattia non ti ha mai fatto pensare di lasciare?
Sinceramente no, perché
comunque il lavoro all’Ilva è una sicurezza economica. E poi non è che in
fabbrica muoiono così tante persone.
Sul
posto di lavoro per incidenti magari no, però molti hanno scoperto di avere
tumori o altre malattie direttamente collegate all’ambiente in cui avevano
vissuto?
Diciamo che non ci pensi… è meglio
non pensarci.
E
la vita continua, cantava Vasco Rossi. Ci si assume il rischio di andare a lavorare.
Pensi che a te non succederà
niente di brutto e vai avanti.
Ritornando
ai sindacati, tu sei iscritto ad un sindacato?
Si, alla Uilm.
Che
in questa vertenza si è schierata contro la magistratura.
No, contro la magistratura
no; perché ciò che sta facendo la magistratura è giustissimo. Quello che non
condividiamo pienamente con la magistratura è la decisione di chiudere la
fabbrica per modernizzare gli impianti.
Cioè
l’Ilva non si deve fermare?
No, non deve chiudere, deve
continuare a produrre.
Perché?
Per vari motivi: se chiudi a
noi lavoratori dove ci metti? La cassa integrazione hanno detto che non c’è,
quindi c’è la mobilità. Oppure si parla di messa in libertà: cioè si va a casa
senza lavoro, ma si resta comunque dipendenti Ilva in attesa che la situazione
si sblocchi. Di questo si sta parlando in azienda. E poi se non produci perdi
il mercato e come lo riprendi il mercato che avevi tra quattro, cinque o sei
anni? Quattro o cinque miliardi di investimento come li recuperi? A prescindere
dal fatto se loro (la proprietà dell’Ilva, Ndr) se li sono già guadagnati…
sicuramente hanno guadagnato anche di più.
La
Uilm e la Fim sono sulle stesse posizioni.
Sì, far fermare gli impianti
poco per volta, continuando a produrre. Così come ha detto il ministro
dell’Ambiente Clini. Personalmente condivido la posizione del mio sindacato
(Uilm, Ndr).
Parliamo
del sindacato e di quello che fino a ieri faceva. Si sentiva la presenza del
sindacato?
No, non la sentivi per
niente. Lo sentivi solo quando c’era da fare uno sciopero, non lo vedevi mai in
giro. A parte la Cgil, più presente per un periodo rispetto agli altri. Adesso
con questa situazione è uscito il sindacato. Per farmi capire meglio voglio
raccontare un episodio. Noi abbiamo lottato per ottenere il cambio tuta, cioè
quel tempo durante il quale l’operaio si cambia l’abbigliamento, aspetta
l’autobus interno che ti porta al reparto e poi di nuovo allo spogliatoio alla
fine del turno. Questo tempo fino a poco tempo fa non era retribuito. Noi
abbiamo fatto qualche sciopero, ci siamo fatti sentire. E siamo arrivati a un
accordo: tutti e tre i sindacati, se non erro, sono partiti da cinque euro di
retribuzione in più al giorno e cinque-sei mila euro di arretrati, per gli
ultimi dieci anni di lavoro, per ogni operaio.
Com’è
andata a finire?
Ci sono state varie
trattative tra azienda e sindacati, la Cgil s’è fatta fuori e siamo arrivati a
un euro e novanta centesimi al giorno e millesettecentocinquanta euro di
arretrati. Da come erano partite le richieste a quello che i sindacati hanno
ottenuto c’è una bella differenza. Perché?
Appunto
perché?
Perché i sindacati hanno
“mangiato”. Noi questo accordo lo abbiamo firmato da ignoranti, così vogliamo
essere chiamati, perché credevamo che il sindacato ci stesse proteggendo invece
ce l’ha messo a quel posto! Abbiamo firmato a gennaio, a febbraio invece gli
operai dell’Ilva di Genova hanno avuto cinque euro al giorno e circa cinque
mila euro di arretrati. Perché?
Perché?
Perché lì hanno le palle.
Perché il sindacato lì non è corrotto come il nostro.
Magari
anche gli operai hanno una maggiore coscienza.
Sicuramente, ma anche più
coraggio.
Forse
anche perché la situazione al nord è tale da far sentire gli operai meno sotto
scacco.
Da noi si diceva che se non
accettavi l’accordo ti creeranno problemi. Queste erano le voci che giravano.
Ti sposteranno in aree dove sarai sottoposto a maggiore stress. Cose di questo
genere. Quindi siamo stati anche costretti a firmare. Molti non hanno firmato e
sono andati per vie legali: e poi si sono ritirati perché il gioco non valeva
la candela.
Della
serie prendi i soldi e zitto.
Sì. Fai conto che non ti
spettavano e hai avuto millesettecentocinquanta euro così dal nulla, regalati.
Questo episodio dice bene chi è e cosa faceva il sindacato in azienda prima che
succedesse quello che tutti adesso sappiamo.
Non
si era mai visto che caschi rossi e caschi bianchi (operai e impiegati) si
unissero per un destino comune. Quale è stata la scintilla?
Inizialmente per garantire
il posto di lavoro. Durante i primi scioperi eravamo uniti contro la
magistratura. Però poi le numerose notizie fuoriuscite e le intercettazioni in
cui politici e giornalisti, preti e vescovi dicevano di tutto e di più... Cose
impensabili, nessuno di noi immaginava tutto questo. Dopo tutte quelle notizie
abbiamo riconosciuto che la magistratura aveva ragione.
E
invece per quanto riguarda la sicurezza sul posto di lavoro ci sono stati
progressi?
L’azienda su questa questione
ha fatto qualcosa di giusto, mettendoci in condizione di non subire più troppi
infortuni.
In
che modo?
Istituendo il Sil, cioè un
organismo che si occupa della sicurezza interna. Inoltre l’azienda ha istituito
un premio di cento euro, se non sbaglio, che ogni operaio riceve quando gli
infortuni mensili nel proprio reparto sono inferiori a quaranta.
Uno
strumento utile a far alzare il livello di attenzione.
Questa piccolezza ci fa
tenere ancora di più gli occhi aperti. Ma non c’è solo questo: anche a livello
di macchinari oggi c’è più sicurezza.
Lo
“Speciale Taranto” che ospitiamo sul blog è iniziato con la recensione di
“Invisibili” libro scritto a due mani da Fulvio Colucci e Giuse Alemanno. Ti
senti anche tu invisibile agli occhi della città?
No, io non la sento lontana anzi,
anche perché se Taranto perde l’Ilva perde anche un giro economico non
indifferente. Per questo bisogna mettere in condizione la fabbrica di non
inquinare, perché così non si può andare più avanti.
Nel
libro “Invisibili” Alemanno racconta che gli operai giocano a calcetto in una
struttura messa a disposizione dall’azienda anziché parlare di politica. È
vero?
C’è una struttura a Taranto
che è dell’azienda e che la stessa l’ha ceduta al sindacato. Lì i sindacalisti e
i loro famigliari possono giocare, riunirsi e fare mangiate, non gli operai. Tutto
ciò serve a farli stare in silenzio, come hanno fatto fino a pochi mesi fa.
Quindi
si può dire che il sindacato era l’alleato interno della proprietà?
Sì, l’alleato fondamentale.
Invece
i tuoi famigliari, tua moglie, i tuoi amici cosa pensano? Cosa ti dicono?
È una situazione brutta,
perché per un genitore o per una moglie sapere che il proprio figlio o il
proprio marito possa perdere il posto di lavoro non è una cosa bella. Speriamo
che la situazione si risolva al meglio, speriamo che l’azienda investa. Noi
aspettiamo che qualcuno ci comunichi quello che sta succedendo. Noi non
sappiamo niente, la proprietà non sta a Taranto. Quello che sappiamo lo
leggiamo sui giornali.
sull'operaio intervistato mi sarebbe piaciuto sapere da quale parte della Puglia o di altra regione provenisse... Rifiuto il dilemma: " se l'ilva chiude gli operai dove li mettiamo..." La legge dice che chi ha inquinato deve pagare.. Applicando questo semplice dettato si intuisce che i soggetti che dovranno risarcire sono 2: lo stato e la proprietà ilva. Con quei soldi si mettono in moto le bonifiche che dureranno decine d'anni.. e a bonificare, previo corso di formazione, saranno gli stessi operai. E' questa la strada giusta: cittadini e lavoratori non potranno che trarre solo benefici. Per tenere inalterate le cose NON serve il coraggio, è invece per cambiare che ne occorre tanto..per questo occorrono politici, amministratori lungimiranti non certamente gli attuali.
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