sabato 17 novembre 2012

"Sarebbe meglio non interrompere del tutto la produzione all'Ilva, perché altrimenti si chiude": parla Paolo Mele operaio Italsider in pensione

Operaio all'altoforno - Foto google.com
La notizia pubblicata soltanto qualche giorno fa con cui la dirigenza dell’Ilva ha deciso di chiedere la cassa integrazione per 2mila operai dell’area a freddo dello stabilimento di Taranto pone adesso il problema dell’occupazione. A questa si aggiunge la notizia appresa nella giornata di ieri dell'annuncio del presidente del gruppo Ilva Bruno Ferrante, il quale ha comunicato ai giudici impegnati sul caso la gravità della situazione economica e le perdite che l'azienda starebbe subendo a causa del blocco delle navi nel porto di Taranto, navi che trasportano le materie necessarie alla produzione. Allora il dilemma salute o lavoro come si risolve? Dopo le parole dure del segretario nazionale di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, raccolte in un’intervista realizzata dal sottoscritto soltanto qualche giorno fa, prosegue lo Speciale Taranto con un tuffo nei ricordi di un operaio dell’Italsider, che per chi non lo sapesse era il nome dell’azienda a partecipazione statale che produceva acciaio a Taranto e che l’Iri (con Romano Prodi presidente) ha svenduto al gruppo Riva. Paolo Mele, operaio metalmeccanico di Cassano delle Murge, ha lavorato all’Italsider di Taranto dal 1972 al 2002, anno in cui è andato in pensione godendo di dieci anni di abbuono per aver lavorato a contatto con l’amianto. 

A cura di Vito Stano

Il gruppo Riva ha acquistato l’azienda nel 1995, tu, che ci lavoravi da più di vent’anni, hai vissuto il prima e il dopo. Cosa è cambiato nel modo di lavorare e vivere gli spazi aziendali?

Per esempio le riunioni sulla sicurezza non si sono più fatte (dopo l’acquisto da parte dei Riva, ndr); si pensava solo al profitto, noi eravamo soltanto un numero.

Mi pare di comprendere da quello che dici che la situazione all’interno dell’azienda è peggiorata negli anni.

Sì, è chiaramente peggiorata.

Invece per quanto riguarda il rischio di scoprirsi affetti da malattie degenerative, voi operai eravate al corrente dei rischi? E come l’Italsider cercava di tutelare la vostra salute?

Si faceva molta manutenzione sugli impianti, che venivano fermati per effettuare le pulizie e quindi l’inquinamento era minore. Poi è venuto il signor Riva e gli impianti non si fermavano più: andavano avanti finché non prendevano fuoco, una gru se non prendeva fuoco non si fermava. Capitava che da fare gli elettricisti si finiva a fare i pompieri. Quando pioveva i capannoni si allagavano, perché nell’era Riva non si facevano più le coperture nuove, quindi si allagavano gli impianti elettrici e a volte capitava di dover mettere il teflon sulle apparecchiature elettriche rischiando danni alla salute.

In che reparto lavoravi? E cosa facevi?

Nell’acciaieria uno dove si faceva l’acciaio (in uno dei reparti cosiddetti a caldo, ndr). Qui c’erano i convertitori, che sono dei grossi forni per fare l’acciaio. Io lavoravo lì dove recentemente dai camini usciva molto, troppo fumo. Io ho lavorato là fino al quarto piano e non era così: c’era il fumo, ma non così perché funzionavano gli impianti di depurazione, per cui quel fumo diventava fango, che tramite dei tubi arrivava alla palazzina fanghi dove veniva separato dall’acqua.

Questo cosa può significare che non è stata fatta la manutenzione?

Significa che negli anni Riva non ha fatto la manutenzione e gli impianti sono via via deperiti. Però, mi pare che dopo le pressioni del presidente della regione Puglia Nichi Vendola qualcosa è stato fatto per rientrare nei parametri dettati dell’Unione Europea.

Invece per quanto riguarda le malattie degenerative, nel tuo trentennio di lavoro all’Ilva hai sentito di casi di tumori? Si sapeva del rischio?

Sì che si prendevano; quando sono arrivato io mi è capitato di vedere operai più anziani di me ammalarsi. C’è da dire che ai tempi dell’Italsider noi operai andavamo ogni anno all’ospedale nord di Brindisi a fare i controlli, ma già ai tempi in cui lo Stato era proprietario dello stabilimento è capitato che non andavamo più all’ospedale ma nell’infermeria dello stabilimento e qua si coprivano alcune cose.

Tu hai lavorato per trent’anni e sei in pensione da dieci, ti senti fortunato?

Per prima cosa se penso ai pericoli affrontati è tanto che sono uscito vivo, perché sapevi che entravi e non sapevi se uscivi. Chiaramente qualche acciacco ce l’ho.

Quale, se vuoi dirlo?

Per esempio ho qualche problema di udito.

Ed è dovuto al lavoro?

Sì, perché i rumori erano molto forti. Mi fischiano ancora le orecchie.

Cosa pensi dei giovani operai che vogliono lavorare nella fabbrica, alla luce di quello che oggi si sa?

Chiaramente gli operai sono sotto ricatto, devono lavorare in quelle condizioni perché possono essere licenziati. In passato capitava che ovunque li mandassero (nello stabilimento, ndr) loro andavano e lavoravano con o senza sicurezza. Noi anziani spiegavamo loro dove c’era il pericolo.

Facevate da guida ai più giovani.

Sì, perché noi andavamo a renderci conto del lavoro e anche delle condizioni di sicurezza e si poteva non fare il lavoro a causa delle condizioni pericolose dell’impianto. Invece i giovani dovevano andare senza dire niente, perché rischiavano di essere licenziati dopo i due anni.

Com’era la situazione sindacale nello stabilimento Italsider?

Il sindacato è stato forte finché c’è stata l‘unità sindacale, quando c’era la federazione nazionale metalmeccanici. Negli anni del governo Craxi l’unione dei metalmeccanici si è rotta e da allora gli operai a Taranto e nel resto d’Italia hanno iniziato a prendere le batoste.

Dunque la disunione dei sindacati ha causato l’indebolimento della classe operaia mettendola sempre più sotto ricatto. E i sindacalisti cosa facevano?

Essendo divisi, ogni sindacato curava le sue clientele.

Anche il giovane operaio che ho intervistato prima di te ha detto che i sindacati (specialmente Cisl e Uil) fanno clientelismo ancora oggi. Era così già ai tuoi tempi?

Ripeto, uniti si facevano valere. Da soli…

Quindi la situazione attuale cosa ti fa pensare?

Chiaramente il lavoro è importante, senza lavoro non si può mettere su famiglia e non c’è sviluppo. Tra l’altro bisogna fare l’acciaio perché è importante anche per lo Stato, che facciamo importiamo l’acciaio dall’estero?

Quindi che fare?

Penso che gli impianti bisogna rinnovarli, bisogna far uscire i soldi al padrone, perché quello stabilimento gli è stato venduto a pochi soldi. Nel frattempo ha fatto tanti soldi e quindi…

Quindi tu sei d’accordo con lo stop degli stabilimenti e con l’impiego degli operai nella riqualificazione?

Secondo me sarebbe meglio interrompere non completamente la produzione, perché altrimenti si chiude. Per avviare un impianto poi fermo ci vogliono dei tempi lunghi.

E le responsabilità dei politici?

C’è stata complicità di molti politici con l’azienda, specialmente ai tempi del sindaco Cito e poi della Di Bello. Basta pensare al quartiere Tamburi o a Statte, chi ha dato i permessi di costruire? Io mi sono salvato anche perché facevo il pendolare.  

2 commenti:

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