La
spaccatura nel mondo del lavoro è profonda: da una parte coloro che sono scesi in piazza
con la gente a gridare le ragioni di una città intera e dall’altra coloro che, forse
perché subiscono in maniera forte il ricatto del lavoro oppure perché neanche
sfiorati dai problemi della città e dei suoi abitanti, magari perché abitano
altrove. Il 26 luglio è stato sicuramente il momento della frattura con la
rappresentanza sindacale, difatti la manifestazione del 15 dicembre ha
registrato l’assenza del mondo sindacale, che, come precisa Cataldo Ranieri,
operaio dell’Ilva incontrato durante la lunga marcia per le vie della città
jonica, «hanno fatto bene a non venire, perché probabilmente sarebbero stati
cacciati dagli stessi lavoratori».
a
cura di Vito Stano
Da destra: Cataldo Ranieri - Foto Vincenzo De Palmis |
Spicca la scarsa presenza delle sigle che rappresentano il mondo operaio, com’è possibile?
No,
invece ci sono molti lavoratori dell’Ilva, io li ho visti. I sindacati invece
hanno fatto bene a non venire, perché probabilmente sarebbero stati cacciati dagli
stessi lavoratori, così come in occasione dell’ultimo sciopero organizzato dai
sindacati non sono venuti davanti alle portinerie non so perché; evidentemente sanno
di aver perso anzi, non hanno perso niente, dato che si può perdere soltanto ciò che si ha e loro i lavoratori non li hanno mai effettivamente
rappresentati. I malati e i morti non vanno a lavorare, in questa nazione che vanta
di avere un governo civile è stato scelto di lasciarci nella nostra
disperazione, nella nostra divisione, ovvero di dover scegliere tra salute e lavoro
e questa è una vergogna per qualsiasi stato civile. Pensavamo che si sarebbe
risolta la situazione, che ci avrebbe consentito di non litigare più tra fratelli.
È ancora possibile secondo te
risolvere questo dilemma?
Noi
crediamo che se vogliono davvero continuare a fare l’acciaio a Taranto è bene
che escano le risorse, perché in tanti paesi l’acciaio si produce e non uccide
nessuno. A Taranto evidentemente le vite valgono di meno dei profitti e quindi
non si investono le risorse che ci vogliono per mettere a norma la fabbrica.
Noi abbiamo capito che intenzioni vere non ce ne sono, hanno intenzione di
recuperare i crediti che le banche vantano nei confronti dell’Ilva ed è solo
per questo che, a nostro avviso, viene concesso altro tempo: non per salvare il
lavoro, non per salvare le vite, ma per salvare il profitto.
Quindi si fa solo l’interesse
dell’azienda?
Questa
fabbrica ha un’esposizione di 2 miliardi e settecento milioni di euro nei
confronti delle banche, che non intendono perdere e se pensiamo che attualmente
il governo è composto da ex finanzieri delle stesse banche che vantano crediti
dall’Ilva… Il cerchio si chiude nel momento in cui noi lavoratori dell’Ilva non
abbiamo più un finanziamento neanche di mille euro, perché quelle stesse banche,
che dovrebbero prestarci i soldi, sanno che sarebbero finanziamenti a fondo
perduto, che non rientreranno, perché una volta risanato il debito, che Ilva ha
nei confronti delle banche, non credo che Riva, qualora fosse condannato, farà il suo dovere, cioè bonificare il territorio e ambientalizzare gli
impianti. Una persona sana di mente non può pensare questo.
Quindi per cosa lottate voi
lavoratori?
Qui
ci sono i lavoratori coerenti con quello che si è sempre detto, noi soltanto
nell’era Riva abbiamo perso 46 colleghi morti sul lavoro e altre centinaia che
si sono ammalati per fare l’acciaio. Noi non siamo più disposti ad accettare,
questa città vuole i diritti che le sono stati negati. Non se ne può
riappropriare perché non li ha mai avuti. Taranto vuole la salute, vuole il
lavoro, vuole l’ambiente, vuole la cultura; questa città ha avuto negli anni
soltanto disoccupazione: il 40% di disoccupati nella terza città più industrializzata
del mezzogiorno è inconcepibile. Abbiamo capito che c’è un meschino disegno,
ovvero tenerci le fabbriche inquinanti e difenderle in quanto unica fonte di reddito,
pur avendo una città che offre risorse importanti non ci sono alternative.
Un disegno, spiegati meglio.
C’è
qualcuno che dice che ci dobbiamo tenere solo questo, perché il 70% del
traffico marittimo di Taranto è controllato dalle navi dei veleni, è
controllato da Riva; per cui chiunque si avvicina con l’intento di valorizzare
questo porto, che è l’unico affaccio sul Canale di Suez e quindi farebbe gola a
molti imprenditori, non può far niente, perché ci dobbiamo quello che abbiamo,
ci dobbiamo tenere i veleni.
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