La bambina ritratta non è la protagonista della storia. Questa foto è stata utilizzata da Avaaz.org per la campagna |
L'ottimismo nel mondo dell'informazione è un ingrediente raro. Ma, come in questo caso, un pizzico di positività è utile per raccontare una storia, che è l'eco di tante altre storie, di violenza e sopraffazione dei più deboli. La storia che merita di essere raccontata è quella di Kaia (nome di fantasia per garantirne la sicurezza), bambina kenyota di undici anni. Kaia, così si legge sul sito di Avaaz.org, è stata assalita e
violentata mentre andava a scuola. Un'insegnante
l’ha portata in ospedale, ma poi ha dovuto addirittura corrompere la polizia
anche solo per poter sporgere denuncia. La reazione di Kaia è stata di un coraggio
incredibile. Ha denunciato la
polizia per non aver fatto il
necessario per proteggerla. E la cosa ancora più incredibile è quello che
è accaduto subito dopo. In Kenya, il paese dove vive Kaia, una
donna o una ragazza vengono stuprate ogni 30 minuti. La polizia di norma chiude
gli occhi, isolando ulteriormente le giovani sopravvissute e rinforzando l’idea
che lo stupro è accettato. Kaia e altre dieci giovani sopravvissute hanno deciso di agire. Nel giorno del processo, ignorando le minacce ricevute e i blocchi
di sicurezza hanno marciato dalle loro case fino al tribunale, intonando
lo slogan «haki yangu», che in Kiswahili significa «voglio i miei diritti». Dopodiché il giudice ha emesso la sentenza: le ragazze avevano vinto la propria battaglia.
Dalla petizione on line promossa da Avaaz.org si legge che le attiviste e avvocatesse per i diritti umani che hanno lavorato con Kaia
sono pronte a portare processi simili contro le forze dell'ordine dentro e
fuori dai confini del continente africano, ma hanno bisogno di fondi per farlo. Per questo Avaaz.org, organizzazione no profit, ha lanciato una raccolta fondi: le promesse di donazioni che gli internauti faranno non saranno addebitate finché non sarà raggiunto l'obiettivo prefisso: https://secure.avaaz.org/it/take_kaia_win_global_loc_nd_rb/?btysIdb&v=31568.
Quando la storia di Kaia è iniziata, sembrava
destinata a diventare una delle innumerevoli giovanissime vittime di
violenza ignorate dalla polizia. Ma l’attivista kenyota per i diritti dei
bambini Mercy Chidi e l’avvocato per i diritti umani Fiona Sampson hanno unito
le forze per sfidare questa ingiustizia nei tribunali. Il piano è stato messo in piedi in Kenya da un
gruppo di colleghi di Canada, Kenya, Malawi e Ghana: sembrava davvero ambizioso
denunciare la polizia per non essere entrata in azione, ma hanno insistito e
assunto molti rischi e hanno costruito un pezzo della storia dei diritti
umani. Ma il lavoro è appena iniziato. Come qualsiasi vittoria, c’e’ bisogno di
tempo, sforzi e denaro per fare in modo che la sentenza sia applicata, e sia un
precedente utile per combattere la violenza contro le donne.
Se verranno raccolti abbastanza fondi, si potrà trasformare un'enorme vittoria per il Kenya in una vittoria per i paesi
in tutta l’Africa e nel resto del mondo contribuendo a
sostenere le spese di ulteriori casi come questo, nel resto dell’Africa e
in tutto il mondo, facendo in modo che queste sentenze storiche siano
attuate per mezzo di campagne pubbliche con strategie mirate; spingendo per realizzare campagne educative di massa che
colpiscano alla radice la cultura alla base della violenza sessuale
contribuendo a cancellarla una volta per tutte; rispondendo a nuove opportunità di campagne come
questa con strategie che permettano di mettere fine alla guerra contro le
donne.
Quindi qualora vogliate sostenere questa battaglia contro la violenza, è possibile fare una promessa di donazione. Io l'ho fatta. Come spiegano sul sito di Avaaz.org, facendo la promessa di donazione non sarà da subito addebitato alcun costo. Soltanto al momento del raggiungimento della somma prevista il contributo promesso sarà addebitato: https://secure.avaaz.org/it/take_kaia_win_global_loc_nd_rb/?btysIdb&v=31568.
Avaaz.org è una piattaforma che, come ha detto la giornalista di Al Jazeera English Juliana Rufhus durante i seminari sul web-documentary svoltisi a Bari soltanto due settimane, realizza veramente quella partecipazione di cui oggi tanti soggetti parlano, ma che difficilmente si realizza davvero.
Poiché, ritornando a leggere sul sito si Avaaz.org, «in quanto cittadini, spesso ci rivolgiamo ai
leader politici e altri rappresentanti delle istituzioni affinché facciano sul
serio per proteggere i diritti delle donne. È importante continuare a farlo, ma
ogni volta che non riusciranno ad ascoltare le loro coscienze, dovremo avere il
coraggio di toccare nel profondo i loro interessi portandoli nei tribunali.
Questo manderà un messaggio potentissimo: non solo ci sono nuove conseguenze
per questi crimini, ma l’epoca in cui la cultura delle nostre società ammetteva
si disprezzassero le donne senza ripercussioni sta per finire».
Per approfondire l'argomento è possibile seguire i link qui sotto.
26.11.2013
Vito Stano
In Kenya, una vittoria per le giovani donnee i diritti (The New York Times)
I canadesi spingono la polizia canadese arispondere per aver imperdonabilmente trascurato dichiarazioni di violenzesessuali contro ragazze (National Post)
Africa: la violenza contro le donne è epidemica (AllAfrica)
La crisi indiana degli stupri mette a rischio il paese (The Daily Beast)
Report sul Malawi (UNICEF)
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