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domenica 15 settembre 2013

Basilicata d'Italia: tra scoperta del passato e vocazione turistica d'oggi

Ritorniamo a parlare di vitigni e di Basilicata a fine estate, in perfetta sincronia con la natura; il caldo torrido adesso è un ricordo lontano e si guarda al futuro della vendemmia.

La Basilicata o Lucania in tempi remoti era conosciuta come la terra dei Lyki, ma fu con l'arrivo dei Greci, i quali diedero impulso all'agricoltura, che la viticoltura acquistò sempre maggiore importanza come componente dell'economia del tempo. Però nulla si sa sulla qualità dei vini prodotti e imbarcati sui vascelli delle rotte che facevano capo al metapontino.

È una regione, la Basilicata caratterizzata prevalentemente da terreni di natura argillosa e calcarea, questo fattore ha sempre determinato una forte scarsità d'acqua e non pochi problemi per l'agricoltura in generale.

Questa è la terra delle Doc dell'Aglianico del Vulture, il Terre della Val d'Agri e Matera. Spicca anche l'Igt Basilicata nelle tipologie bianco, rosato e rosso. Gli altri vitigni coltivati  sono il Montepulciano di Basilicata, il Moscato del Vulture e della Lucania, e non per ultimo l'Asprinio Lucano. Il comprensorio vitivinicolo vero e proprio comprende il territorio collinare del Vulture, legato ad un complesso vulcanico oggi spento, in provincia di Potenza, che comprende quindici comuni, tra i quali Rionero in Volture, Barile, Rapolla, Maschito, Genzano di Lucania, Atella, Ripacandida e Melfi.

Oggi però questa regione sta prepotentemente rialzando la testa grazie all’appoggio dello Stato, all’insediamento di industrie di livello mondiale e a coraggiose e spericolate iniziative di privati locali.

La sua immagine dunque, che merita ancora molto di più, si sta rivitalizzando, facendo si che l’interesse per la Lucania sia sempre crescente non solo dal punto di vista agricolo e vinicolo, ma anche da quello turistico e industriale.

15.09.2013
Giulio Stano

(sommelier  Ais Puglia)

sabato 27 luglio 2013

Murgiambiente va in vacanza. Il "viaggio tra i vitigni" riparte a settembre

Il 2013 è stato per Murgiambiente l'anno dell'emergenza tarantina, che abbiamo raccontato con interviste ai protagonisti e con approfondimenti e video-reportage; è stato anche l'anno della rubrica 'Viaggio tra i vitigni d'Italia', curata da Giulio Stano, sommelier Ais Puglia. Questa viaggio ci ha portati per adesso in Sardegna, Sicilia e Calabria. Con l'avvento della stagione calda la cadenza settimanale ha subito qualche rallentamento, fino a lasciarci immaginare uno stop temporaneo. 

Agosto è alle porte e finalmente il caldo, quello vero, è arrivato, pertanto per "gustare" i suggerimenti del nostro sommelier in viaggio per lo Stivale, ci diamo appuntamento a settembre, quando, ci auguriamo, il fresco autunnale ci abbia già fatto visita.

Con questo post ci salutiamo. Torniamo il 1° settembre.

Buona estate, a presto!

27.07.2013
Vito Stano

domenica 7 luglio 2013

Magliocco Canino: prosegue il "viaggio" di Murgiambiente in Calabria

Con l'avvento dei greci in Calabria, la viticoltura, già prospera di questa terra si arricchì di nuove superfici vitate che iniziarono a colorare le colline intorno a Cremissa, l'antica Cirò, e contribuirono ad affermare la vocazione vinicola di questo territorio. Da quel momento la cultura del vino diventò parte integrante della storia di quest'angolo di Calabria, al punto che i vigneti di Cremissa divennero tra i più noti dell'intera Magna Grecia.

Vitigno di antica coltivazione in Calabria, Marche e in parte della Sicilia, il Magliocco Canino appartiene alla vasta famiglia dei Magliocchi tipici della viticoltura calabrese, ma dai quali differisce per diversi caratteri, primo fra tutti il grandissimo potenziale enologico che questo possiede al confronto con gli altri.

Il vitigno in questione produce un'uva a bacca nera ed essendo un vitigno minore viene vinificato in purezza affinché esprima tutta la propria personalità. Cresce in un ambiente chiamato la Valle di Neto, la quale si trova nel cuore del Marchesato, zona caratterizzata dal susseguirsi di dolci colline ai piedi della Sila, digradanti sino alle coste centrali del Mar Ionio.

Un tempo era utilizzato per aggiungere corpo e struttura ai vini locali, ma via via venne sostituito con il più produttivo Gaglioppo, il celebre vitigno che è la base del Cirò. Si è creata confusione tra il Magliocco e il Gaglioppo che qualcuno continua a chiamare 'Magliocco' o 'Mantonico nero', ma in realtà si tratta di due varietà distinte che danno risultati organolettici completamente differenti.

L'origine del singolare nome è sconosciuta, forse perché il grappolo si presenta piccolo come un pugno o maglio. Di recente alcuni produttori si sono orientati verso la vinificazione del Magliocco in purezza, la prima azienda che ha iniziato questa sperimentazione è stata nel 1988 la Librandi grazie alla collaborazione con il professor Attilio Scienza e con l'enologo Donato Lanati.

Il risultato è un vino molto elegante e fine, di colore rosso rubino carico, con spiccati aromi di frutta secca, al gusto armonico e morbido, ha una buona alcolicità e una bassa acidità e una notevole spiccata attitudine all'invecchiamento, soprattutto se affinato in barrique. Si abbina a carni rosse, cacciagione, selvaggina, piatti dal gusto intenso e a formaggi ben stagionati. Il Magliocco è presente nelle Doc Lamezia e Savuto.

07.07.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Il vino prepara i cuori e li rende più pronti alla passione.


Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.) 

domenica 23 giugno 2013

Greco Nero di Calabria: una bacca nera dalla storia ellenica

Il Greco  Nero è un vitigno a bacca nera che fa parte della numerosa famiglia dei Greci, la cui origine e diffusione è piuttosto incerta; molto probabilmente è stato introdotto dai coloni ellenici, fondatori della Magna Grecia. Con questo nome vengono chiamate molte varietà che hanno ben poco in comune (Greco nero di Avellino, delle Marche, di Teramo, di Terni, di Velletri, toscano). 

È coltivato prevalentemente in Calabria, nelle provincie di Catanzaro e Crotone. Era erroneamente ritenuto sinonimo di Marcigliana o Marsigliana coltivato nella provincia di Catanzaro; nel tempo è stato confuso anche con l'Aleatico e il Verdicchio nero. Localmente è chiamato Grecu niuru e Maglioccone. 

Ha una produzione media e costante, predilige terreni poco fertili e ambienti caldi. Le forme di allevamento più idonee sono quelle a piccola espansione, come l'alberello, con potatura corta o addirittura cortissima. 

Questo vitigno dà un vino dal colore rosso rubino carico, che con l'evoluzione cambia e diventa granato; è un vitigno che si presta bene all'invecchiamento, dai profumi delicati e  caratteristici di un rosso corposo, quali sentori di frutta rossa a bacche, anche matura, con leggeri sentori balsamici che ricordano la liquirizia, pianta tipica della regione. 

Dal sapore intenso e gradevole il Greco Nero risulta armonico e ottimo per accompagnare preparazione della cultura popolare, come formaggi stagionati o carni rosse arrosto accompagnate con verdure e spezie, immancabile il peperoncino calabrese che rende il tutto fresco e caldo allo stesso tempo.

23.06.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Il bronzo è lo specchio del volto,
il vino quello della mente.

Eschilo (525 a.C. - circa 485 a.C.)

domenica 26 maggio 2013

Alicante vitigno girovago: dalla Penisola iberica al "piede d'Italia"

Calabria - Foto google.com
Il vitigno è originario della Spagna, proviene dall'omonima città di Alicante affacciata sul Mediterraneo nella regione di Valencia, dove viene coltivato ed è tuttora uno dei vini più popolari della Penisola iberica.

Questo vitigno compare molto probabilmente prima in Sardegna, all'inizio della dominazione spagnola sull'isola, dove è presente ancora oggi con il nome di Cannonau e poi si diffonde in tutta l'Italia meridionale. Dopo qualche tempo, nel XV secolo, al tempo dei presidi la pianta viene portata nei pressi di Grosseto dove è coltivata ancora oggi con grande successo.

L'Alicante produce un'uva a bacca nera, è un ottimo vino rosso molto alcolico, ma vengono prodotte anche versioni in rosato di gradazione minore. Questo fantastico vitigno viaggiatore prende nomi diversi nelle varie regioni in cui è coltivato: ad esempio in Sardegna diventa Cannonau, nelle Marche Vernaccia di Serrapetrona o Vernaccia Nera, in Francia Grenache, il quale è il componente maggiore dello Chateau neuf du pape, in Friuli diviene il Tocai Rosso.

Da sempre un vino di intenso colore rosso rubino con sfumature di granato con l'evoluzione, il vino è di corpo, grazie alla sua buona struttura e il suo intenso bouquet si possono creare accostamenti con preparazioni anche molto decise, come per esempio carni arrosto, cinghiale in umido, il tutto speziato e accompagnato con formaggi della tradizione dal gusto inconfondibile di Calabria.

Un vitigno autoctono della regione del peperoncino, che ci parla di storia e soprattutto di dominazioni e cambi di potere, gli spagnoli portarono con se armi, ma anche tradizione culinaria e ottima uva, come l'Alicante, e soprattutto una cultura che nel corso degli anni si è fusa in gran parte con quella del Meridione d'Italia.

26.05.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Un pasto senza vino è come un giorno senza sole.


Anthelme Brillat-Savarin (1755 - 1826)

domenica 19 maggio 2013

Viaggio in Calabria: il Gaglioppo vitigno principe con radice greche


Calabria - Foto google.com
Il vitigno principe della viticoltura calabrese è senza ombra di dubbio il Gaglioppo. Affonda le sue radici nella storia greca, che avevano una colonia a Cirò Marina, chiamata Cremissa, dove esiste tuttora un tempio dedicato a Bacco. Il Vino che si produce lavorando questo vitigno in purezza è un famoso discendente del Krimisa, noto al tempo dei filosofi per essere offerto agli atleti; si immagini che nel 1968 tutti gli atleti alle Olimpiadi del Messico lo trovarono come vino ufficiale. Viene prodotto sulle colline attorno a Cirò ed altri comuni, qui troviamo terreni argilloso-sabbiosi seccati dal sole, con temperature che spesso toccano i 40°C. I metodi di coltivazione sono sostanzialmente due, per quanto riguarda le vigne più vecchie queste sono coltivate ad alberello, con una resa bassa ma un alto livello qualitativo del prodotto stesso.

Parlare di zona di produzione del Gaglioppo può essere restrittivo e poco edificante, in quanto il vitigno suddetto è utilizzato in percentuali differenti, in diverse Doc a comporre magicamente vini bianchi, rosati, rossi, rossi classici e il famigerato rosso riserva, ineguagliabile in quanto a profumi, sapidità e intensità. Vorrei parlarvi adesso del vino prodotto utilizzando il Gaglioppo come vitigno principale sino al 95%. Un rosso che si presenta all'esame visivo con un colore rosso rubino con leggere sfumature granato o aranciate dopo il lungo affinamento, al naso risulta intenso con profumi che ricordano le spezie, le confetture di frutti di bosco e frutti neri, con sentori di liquirizia.

All'assaggio è morbido e sapido, scarso a tannini si presta bene all'affinamento in barrique con ottimi risultati, anche per la tipologia Rosso Riserva che ha una struttura notevole con buona presenza di tannicità. Il Gaglioppo è un simbolo della Calabria, una terra brulla e a volte posta sotto i riflettori per problemi di carattere sociale, oggi alla ribalta dei mercati italiani ed esteri con prodotti dell'enogastronomia e dell'artigianato. La posizione geografica della Calabria la rende una regione ad alta vocazione marinara, per la vasta scelta di pesce sia pregiato che pesce azzurro come il tonno, il pesce spada e le alici, ma spostandosi dalla costa all'interno si contrappone una cucina contadina, che produce ottimi risultati dalla coltivazione terra, dall'allevamento di bestiame, oltre alla produzione di latticini e formaggi.

Io proporrei l'assaggio di uno dei vini più conosciuti della Calabria, il rosso riserva in purezza, ovvero prodotto con un minimo del 95% del vitigno Gaglioppo; accompagnato dalla pancetta, al capocollo di Calabria, magari tutto insaporito dall'ottimo peperoncino anch'esso autoctono. Ancora possiamo provare abbinamenti con formaggi stagionati o preparazioni della trazione contadina, come il capretto al forno condito e speziato per renderlo al massimo saporito.

18.05.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Sia benedetto chi per
primo inventò il vino
che per tutto il giorno mi fa stare allegro.

Cecco Angiolieri (1260-1312 circa)

domenica 5 maggio 2013

Calabria vitivinicola: il "viaggio" di Murgiambiente nel Greco di Bianco

Foto google.com

Oggi ci troviamo in Calabria per conoscere il Greco di Bianco. È ottenuto dal vitigno greco bianco, avaro di frutti ed originario della Grecia, dalla quale sembra essere arrivato intorno all'VIII secolo a.C.; tempi addietro era chiamato Greco di Gerace, in quanto Bianco, località balneare dove oggi è esclusivamente prodotto, era una frazione di quest'ultima: da quando Bianco è diventato comune autonomo, è cambiata anche la denominazione del vino.

Da sempre i vigneti sono ubicati difronte al mare, per usufruire di tutta la luce necessaria e il calore del sole. L'appassimento è il primo passo principale dopo la raccolta delle uve, vengono disposti sui graticci di canne, o addirittura direttamente sui sassi arroventati dal sole. È impressionante come tutti i componenti si concentrino per dare vita ad un vino di colore giallo dorato, all'olfatto le sensazioni di confetture di albicocche, di miele ed arancia candita sono franche.

Assaggiando questo dolce nettare originario della patria dei filosofi, la Grecia, risulta senza dubbio morbido e avvolgente, dolce, con una componente alcolica decisamente persistente.

La zona di produzione comprende il comune di Bianco e parte e parte di Casignana, in provincia di Reggio Calabria. Peccato che la produzione sia davvero limitata, la resa si attesta sui 10 t/ha. Per dare vita al Greco di Bianco Doc viene utlizzato per il 95% il vitigno greco bianco, affinato per un minimo di 13 mesi sviluppa 14+3 % di titolo alcolometrico.

Ovviamente è  indicato come vino da meditazione, da accompagnare con dolci ricchi di frutta secca, creme e confetture, un vino a dir poco goloso come un vero e proprio alimento. Può essere consumato in un arco temporale abbastanza ampio, dai 5 agli 8 anni.

05.05.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)
La vita è così amara,
il vino è così dolce;
perché dunque non bere?

Umberto Saba (1883 - 1931)

domenica 28 aprile 2013

Il "viaggio" di Murgiambiente continua: scoprendo la Calabria vitinicola


Calabria - Foto google.com
La storia ci racconta che la viticoltura in Calabria ha origini antichissime. Le civiltà preesistenti erano già dedite ad una viticoltura rudimentale quando sulle coste della Calabria approdarono nel 774 a.C. i greci, i quali promossero una viticoltura più evoluta, riconoscendo nella Calabria un territorio fertile, adatto alla produzione vitivinicola. E fu così che gli stessi greci chiamarono Enotria (Oinotròi) questa terra, nome che a prescindere dalle possibili diverse interpretazioni, ha comunque un legame innegabile con la parola oinos, vino.

Sibari divenne mercato vinicolo attivo e presto se ne aggiunsero altri, come Crotone e Locri; che la vite costituisse un investimento è testimoniato da quanto riportato dalle 'Tavole di Eraclea', in cui si afferma che i terreni a vite avessero un costo di affitto sei volte superiore rispetto agli altri terreni mantenuti con altre colture. Poco si sa, invece, dei vini che venivano prodotti nella antica viticoltura calabrese. Noto è il 'vino di Biblina', ottenuto da un vitigno originario della Tracia e coltivato dai greci su suolo italico, da Siracusa fino al nord della Calabria. Altri vini di cui è conosciuta l'esistenza sono la Centula, il vino di Ciragio, il vino Pesciotta e il vino Chiarello.

Nella viticoltura moderna i vitigni calabresi più importanti sono il Gaglioppo (padre del Cirò Rosso e Rosato, ma anche del Melissa Rosso), il Greco Bianco (padre di numerosissimi vini DOC tra cui il Bivongi, il Cirò Bianco, l'omonimo Greco di Bianco, il San Vito di Luzzi e altri ancora), il Montonico (padre del Bivongi, del Donnici e del Pollino), il Magliocco Canino, il Nerello, il Guardavalle, il Pecorello Bianco, la Guarnaccia, il Greco Nero ed il Prunesta (impiegato per numerosi vini IGT calabresi). In tutto il territorio vitato che si estende per 2.900 acri, la coltivazione utilizzata è quella dei vigneti ad alberello, detto anche alberello calabrese classico, coltivazione per altro consigliata nel disciplinare di produzione del DOC Melissa e del DOC Cirò.

28.04.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

domenica 21 aprile 2013

Moscato di Siracusa tra storia e rinascita: il viaggio prosegue in Calabria


Foto google.com
Nella zona di Siracusa certamente, secondo lo storiografo ed enologo Saverio Landolina Nava, troviamo il vino più antico d'Italia. Secondo la sua teoria , il Moscato di Siracusa corrisponde al Pollio siracusano, vino ottenuto dall'uva biblia che fu introdotta a Siracusa da Pollis, tiranno della città per molto tempo. 

Nell'Ottocento molto vino con etichetta Moscato di Siracusa veniva venduto in tutto il mondo, anche se di quest'ultimo non ve ne era traccia. Un dato è certo: nel 1900 all'esposizione di Parigi due ‘Moscato di Siracusa’ furono premiati. Poi per un lungo periodo non fu più prodotto, rischiando l'estinzione della pianta. Oggi sei aziende lo hanno riproposto sul mercato, coltivando vigneti che coprono una superficie di 22,60 ettari. 

Un vitigno che appartiene al grande gruppo deiMoscatichiamati dagli antichi 'Vitis Apianae', perché dolci e quindi preferiti dalle api. Il botonico Cupani (1657-1710) riferisce del 'Muscateddu Vrancu' come sinonimo della Vitis Apinae citata da Plinio. Il Moscato di Siracusa è coltivato in provincia di Siracusa da tempi molto antichi. Si ipotizza sia legato all'antico 'Vinum Balintium', prodotto con le uve 'Moscadello dolce' e celebrato da Plinio, Fazello e altri storici latini. 

Le caratteristiche della pianta sono la sua vigoria e la foglia di media grandezza; ha il grappolo medio e di forma cilindro-conica, è compatto e ha gli acini medi e con buccia consistente di colore giallo, sapore intensamente aromatico. Il Moscato Bianco viene vinificato per produrre il Moscato di Siracusa riconosciuto e certificato come Doc. All'assaggio questo vino è sicuramente intenso nei suoi profumi aromatici e floreali, da abbinare a dolci delicati e non molto strutturati, oltre che a paste secche della tradizione siciliana. 

21.04.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)


Come si ricorda il sapore del vino quando il bicchiere 
ed il suo colore sono ormai perduti. 
Kahlil Gibran (1883-1931)

domenica 7 aprile 2013

Nero d'Avola di Sicilia: dalla vite alle tavole col sapore di legalità


Il Nero d'Avola è il vitigno rosso più rinomato della produzione vitinicola siciliana. Il nome del vitigno nasce come Calaulisi, italianizzato erroneamente in Calabrese o secondo altri dal casato proprietario dei vigneti di Avola. Cala è la forma dialettale, di Calea, o Caleu sinonimi siciliani di racina ovvero uva.  Aulisi sta per Aula, cioè il nome della città di Avola in dialetto. In definitiva Uva di Avola, ovvero Calea-Aulisi, ed infine Calaulisi.

Il Nero d'Avola è citato dal botanico Francesco Cupani già nel 1696, il quale racconta di origini ancora incerte. È legato agli antichi vini che erano conosciuti con il nome di «Calabresi di Augusta» e «Vini di Vittoria». Il re dei vitigni siciliani è coltivato con successo in tutte le aree viticole dell'isola, sebbene gli esportatori di vini siciliani in Francia trovarono più facile venderli come vini calabresi, in quel tempo decisamente più famosi e apprezzati; già nel 1800 i vini rossi provenienti da uve Nero d'Avola del territorio siracusano erano molto richiesti e ambiti dagli stessi commercianti francesi e nord europei, che li utilizzavano per dare colore e corposità ai loro vini.

Le caratteristiche del vitigno sono la sua pianta vigorosa, la foglia medio-grande di forma cuneiforme pentagonale; con il grappolo da medio a grande, mediamente compatto, acini medi e buccia pruinosa di colore blu-nero. La sua maturazione è media. I vini che questo vitigno ci regala si distinguono in base alle zone di coltivazione della vite. Sono ricchi di personalità, di colore rosso rubino carico, con un elevato corredo aromatico con note fruttate, floreali e speziate, la sua ottima struttura gustativa lo rende un campione, i tannini sono morbidi e corposi, ha una acidità equilibrata. Sono vini armonici nel complesso e da abbinare a piatti della cucina sicula o come vini da meditazione data la forte personalità.


Le DOCG e DOC in cui è utilizzato il Nero d'Avola sono il Cerasuolo di Vittoria DOCG, Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Delia Nivolelli, Eloro, Erice, Mamertino, Marsala, Menfi, Monreale, Riesi, Salaparuta, Sambuca di Sicilia, S. Margherita di Belice, Sciacca, Vittoria.


C'è una interessante iniziativa di cui sono artefici ragazzi e ragazze siciliani, che riguarda il vino e la riappropriazione legittima del territorio. Si tratta del progetto portato avanti dalla cooperativa Libera Terra Sicilia, che delle terre confiscate alla mafia fa sgorgare oro liquido: per la precisione sulle terre confiscate ai padrini della mafia nascono ottimi vini, come la linea Centopassi, Placido Rizzotto o gli imperdibili Cru. Siamo nella zona di Corleone, dove dalle ostiche argille sciolte nelle terre assolate e da vigne a spalliera, viene impressa forza e decisione al Nero d'Avola in purezza. Questo vino è dedicato alla memoria di Peppino Impastato, militante comunista di Cinisi (Palermo) assassinato dalla mafia il 9 maggio 1978. In terra di mafia il vino assume anche il sapore e l’odore della libertà e non solo quello della cultura enologica del territorio.

07.04.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Nessuno è più pericoloso di un uomo privo di idee,
il giorno che ne avrà una gli darà alla testa come il vino a un astemio.

Gilbert Keith Chesterton (1874- 1936)

domenica 31 marzo 2013

Syrah dalla bacca rossa: incerte origini d'un vitigno internazionale


Foto google.com
In quest'ultimi anni la Sicilia ha fatto passi da gigante, tanto da divenire per qualità e produzione una delle migliori nel panorama vitivinicolo italiano e da essere definita la nuova California. Non solo per il fantastico clima che la contraddistingue ma soprattutto per il numero, sempre in crescita, dei vitigni internazionali piantati. Uno tra questi è sicuramente il Syrah: annoverato tra i migliori prodotti della Sicilia viticola, il quale si è ambientato perfettamente al terroir dell'isola. 

Il Syrah Shiraz è un vitigno a bacca rossa dalle origini controverse: alcuni, infatti, ritengono che la sua provenienza sia l'Iran, mentre altri pensano che le sue radici storiche siano legate al territorio di Siracusa, dal quale si sarebbe poi disperso per poi essere reintrodotto in Italia dalla vicina Francia. Il Syrah dà un vino di colore rosso rubino dalle sfumature violacee e dal profumo intenso e fruttato con sentori di piccoli frutti neri e spezie, tra le quali appare evidente il pepe nero ma anche il  cioccolato; in bocca presenta una buona struttura e persistenza, è morbido e abbastanza fresco con una media tannicità. 

Questo vitigno viene ad oggi coltivato in quasi tutto il territorio vitivinicolo mondiale, anche se le sue espressioni migliori provengono dalle appellations Côte-rôtie, Hermitage e Saint Joseph della valle del Rodano in Francia; in Italia viene coltivato in Toscana (con i migliori risultati nella D.O.C. Cortona), nel Lazio (Agro pontino), in Puglia (Syrah del Tarantino IGT) e in Sicilia. Soprattutto quest'ultima regione ha saputo meglio interpretare il vitigno Syrah in Italia, vinificandolo in uvaggio con il Nero d'Avola, ottenendo vini morbidi e speziati molto richiesti dal mercato internazionale. Con un tale vino abbineremo piatti speziati e formaggi della tradizione isolana, come il pecorino  siciliano. 

31.03.2013
Giulio Stano
(sommelier  Ais Puglia) 

Solleticata da venti sottili come da vini frizzanti,la mia anima sternutisce
 e grida a se stessa giubilante:Salute! Così parlò Zarathustra.

Friedrich Nietzsche (1844 - 1900)

domenica 24 marzo 2013

Zibibbo: uva appassita per gli arabi, nettare dolce e dorato dei siciliani


Eccoci ritrovati a parlare di storia e vino, cultura e arte; insomma parliamo di un vitigno arabeggiante e ricco come la sua madre patria: il Moscato d'Alessandria d'Egitto, meglio conosciuto in Italia come Zibibbo, Moscato di Pantelleria o nella versione Passito di Pantelleria è tra i vini della Sicilia più rinomati in Italia.

Il vitigno appartiene al grande gruppo dei moscati chiamati dagli antichi Vitis Apianae perché dolci e preferite dalle api. Coltivato in Sicilia presumibilmente dai tempi dei fenici, questo vitigno veniva utilizzato soprattutto come uva da mensa fresca o appassita, da qui il nome di derivazione araba Zibibbo, usato per indicare le uve da conservare appassite.

Un'antica leggenda narra la storia della dea Tanit che, invaghitasi di Apollo e volendone attirare l'attenzione, si finse coppiera dell'Olimpo. Qui sostituì l'ambrosia, bevanda degli dei, con il nettare proveniente da quest'isola, riuscendo a conquistare l'amore di Apollo. Ma solo nel 1883 questo vino ha iniziato ad essere conosciuto al di fuori dei confini dell'isola e, presente nel listino di una famosa casa vinicola siciliana, fu premiato a Parigi nel 1900; nel 1936 fu inserito tra i vini tipici italiani. 

Se ne ricava un vino giallo paglierino carico con riflessi dorati, dolce e con elevato grado alcolico dal caratteristico profumo. Oltre al consumo a sé stante è utilizzato per la produzione del vino Doc Pantelleria, nella versione passito, moscato e spumante.

L'abbinamento ideale è costituito dai dolci, meglio se secchi, di mandorla, cannoli alla ricotta o farciti con confetture che presentano qualche nota di acidità, come quelle di ribes o frutti di bosco in genere. Ottimo con formaggi erborinati. Il Passito di Pantelleria Doc è commercializzato in diverse forme ed etichette.

24.03.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Il vino ha una pienezza ch'empie palato e anima di sapore

Antonio Fogazzaro 1842 -1911

domenica 17 marzo 2013

Malvasia di Lipari: dolce e dorato da abbinare con scorzette d'arance


Proponiamo un vitigno simbolo delle isole Eolie e della cultura siciliana da cui si ottiene il famoso Malvasia di Lipari, che viene coltivato e prodotto secondo antiche tecniche con uve essiccate sui tipici graticci di canna nelle zone di Alicudi, Filicudi, Lipari, Milazzo, Panarea, Salina, Stromboli, Vulcano. Le sette isole, di origine vulcanica, poste nella parte orientale del basso Tirreno, sono famose per le loro grotte, spiagge e magnifici fondali marini. Oltre che per la Malvasia sono conosciute anche per i capperi, l'olio e la frutta.

Nonostante il nome, il Malvasia di Lipari è coltivato soprattutto nell'isola di Salina, poco coltivato, invece, nelle altre isole; è presente, inoltre, anche in alcuni vigneti del messinese e del catanese. Il vitigno appartiene al grande gruppo delle Malvasie coltivate in Italia. Presumibilmente introdotta dai colonizzatori greci nel VI secolo a.C., la Malvasia viene menzionata da numerosi autori latini: il Cupani nel 1696 la descrive col nome di«Malvagia», detta dal volgo «Marvascia».

La Malvasia è una pianta mediamente vigorosa dalla foglia medio-piccola e cuneiforme, che produce grappoli di media grandezza con acini medio-piccoli e rotondi, la buccia sottile e di colore giallo-dorato fa presagire un aromatico vitigno dalla polpa dolce.

Le uve raccolte a maturazione avanzata, prima di essere vinificate, vengono fatte appassire sui graticci. Il vino è aromatico, con intensi sentori erbacei, floreali, note di miele e di albicocche secche, al sapore è dolce, caldo, aromatico, dotato di un'equilibrata acidità e armonia gustativa.

Possiamo degustare il Malvasia di Lipari abbinandolo con scorzette d'arancia candite, dolci secchi alla nocciole e alle mandorle, mostaccioli messinesi e cannoli. Tradizionalmente vinificato per produrre il famoso vino DOC Malvasia delle Lipari e anche come Passito, Dolce Naturale e Liquoroso.

17.03.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Immergemmo le nostre anime assetate
nel vino ristoratore del passato.
    Mark Twain (1835 - 1910)

domenica 10 marzo 2013

Inzolia d'Agrigento: il preferito da Plinio e le Doc del nuovo millennio


Un viaggio che riparte dall'antica provincia di Agrigento con un vitigno autoctono: l'Inzolia, conosciuto e apprezzato da Plinio nell'antica Roma, il quale lo distingueva da altre varietà e lo riconosceva come uno dei migliori bianchi dell'intera isola. L'Inzolia è riconosciuto come uno dei vitigni figli della storia vitivinicola siciliana.

L'Inzolia come vitigno è resistente al clima isolano, fatto di venti sapidi e freddo pungente, contrastati da caldo torrido e siccità; è una pianta vigorosa con una foglia di media grandezza di forma pentagonale, ha il grappolo abbastanza grande a forma conica, da spargolo a medio; i suoi acini hanno buccia spessa e pruinosa di colore giallo dorato o ambrato, la sua polpa è croccante, dolce e aromatica.

L'Inzolia o Anzonica, com'è anche conosciuto, vinificato in purezza dà un vino fine, di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, i suoi profumi sono riconoscibili in quanto è un vitigno aromatico; il gusto ha sapore neutro, è abbastanza sapido e dotato di buona alcolicità, acidità e morbidezza, doti che lo rendono equilibrato.

È un vitigno diffuso in gran parte dell'isola per questo utilizzato anche in uvaggi nelle seguenti Doc: Alcamo, Contea di Sclafani, Contessa Entellina, Delia Nivolelli, Erice, Mamertino, Marsala, Menfi, Monreale, Riesi, Sambuca di Sicilia, S. Margherita di Belice, Salaparuta, Sciacca, Vittoria.

Potremo degustare questo vino abbinandolo a preparazioni di mare o comunque a piatti della cultura isolana, come la pasta con le sarde o altre pietanze tipiche.

10.03.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Siamo tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino

Eduardo Hughes Galeano (1940)

martedì 5 marzo 2013

Sicilia vitivinicola: il "viaggio" di Murgiambiente fa tappa ai piedi dell'Etna


Sicilia - Foto google.com
La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo e, certamente, è la più importante per arte, storia ed attività economiche. In questa terra dall'antica vocazione per la coltura della vite, i coloni greci, giunti a Naxos, per primi si dedicarono «in maniera professionale» alla coltura della vite, dando inizio alla produzione degli ormai celebri vini siciliani. I Fenici, dal canto loro, audaci navigatori e mercanti di razza quali erano, fecero dei vini siciliani uno dei prodotti più importanti per gli scambi commerciali di quell'epoca. Il Marsala e il Moscato, prodotti nelle storiche cantine siciliane, ne sono ancora oggi testimonianza. In Sicilia, infatti, l'uva rappresenta ancora una delle risorse di maggior rilievo, per qualità e quantità, nel rendere l'isola famosa in tutto il mondo.

Facendo un salto nel passato scopriamo che in Sicilia già dal secondo millennio a.C. la viticoltura era presente, dunque prima che sbarcassero i coloni greci, i quali però ebbero il merito dell'introduzione di migliori qualità di vitigni e del perfezionamento delle tecniche colturali.

Tra il III e il II millennio a.C. questa situazione di benessere scomparve, in conseguenza della conquista romana, che portò alla trasformazione colturale isolana: dalla vite al grano, così imposero i romani, poiché il cereale era necessario alla politica di espansione della Repubblica: la Sicilia divenne così il granaio di Roma. Nonostante ciò, il vino non scomparve del tutto: Giulio Cesare poté ancora gustare il suo prediletto Mamertino, Plinio il Vecchio quello di Taormina e i buongustai romani tanti altri vini.

Con la caduta dell'Impero Romano l'isola fu teatro di una lunga serie di invasioni e di guerre: dapprima i Vandali, poi le lotte tra Goti e Bizantini, ai quali seguirono gli Arabi, che la occuparono per alcuni secoli. Questi fecero rinascere l'agricoltura sicula, rinnovando le tecniche agricole, introducendo nuove colture, principalmente riso e zucchero, e coltivando la vite solo per produrre uva passa per le loro mense. Alla dominazione araba, che lasciò segni positivi profondi, seguirono le conquiste normanne e quindi aragonesi, che non lasciarono grandi tracce in questo campo.

Queste vicissitudini storiche portarono alla ricostruzione del vigneto siciliano: cominciano ad apparire i vini bianchi leggeri, i rossi vivaci, i rossi profondi e coloratissimi e gli aromatici delle isole e per finire quello straordinario vino, che è il Marsala, che ha reso famosa la Sicilia nel mondo.    

Non perdetevi il prossimo appuntamento: scopriremo questa meravigliosa terra e i suoi fantastici vini!

05.03.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

domenica 24 febbraio 2013

Da Sant'Antioco la Doc dei Fenici: l'aristocratico Carignano del Sulcis


Nel nostro quarto appuntamento di Viaggio tra i vitigni d’Italia in Sardegna conosceremo un vitigno, la cui produzione è quasi tutta concentrata nel Sulcis in provincia di Cagliari, area compresa tra le ultime due propaggini montane della Sardegna. Molto probabilmente furono i Fenici, fondatori dell’antica Solci nell’isola di Sant’Antioco, ad introdurre questo vitigno in Sardegna.

La superficie vitata si estende su circa 1700 ettari ma, nonostante la limitata diffusione, il Carignano può ritenersi con certezza uno dei vini più importanti dell’enologia sarda. La resistenza del Carignano ai venti marini ha consentito di svilupparne la coltivazione prevalentemente su terreni sabbiosi, caldi e assolati del Sulcis, che unitamente alle basse produzioni per ceppo conferiscono al vino un vigore e una ricchezza in estratto e profumi.

Dal perfetto incontro tra il clima, il terreno e la pianta nasce un elegante vino di colore rosso rubino intenso con riflessi granato acquisiti con l’affinamento, un profumo caldo e fruttato, floreale con qualche sentore erbaceo che tende ad evolvere verso note speziate, tra cui liquirizia, pepe nero e cioccolato.

All’assaggio è aristocratico ed equilibrato, con tannini morbidi di rara eleganza. È un vino di corpo e con acidità contenuta, ha caratteri che lo rendono adatto all’abbinamento con porceddu allo spiedo, piccioni all’uva, capretto arrosto, brasato di capra. Insomma piatti di grande struttura che tengono testa molto bene al Carignano del Sulcis.

Riconosciuto nel 1977 come vino a Denominazione di Origine Controllata, viene commercializzato sotto il nome di Carignano del Sulcis.

24.02.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

Il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva,
si gusta, si sorseggia e… se ne parla.

Edoardo VII (1841 – 1910)

domenica 17 febbraio 2013

Dolce e suadente: il Girò di Cagliari dal 1972 controllato all'origine


Per il terzo incontro propongo un vitigno di grande pregio e grande potenzialità per la produzione di vini da dessert di particolare finezza ed eleganza. Introdotto nel Campidano di Cagliari durante la dominazione spagnola, la sua coltivazione è attualmente limitata a piccolissime aree situate per lo più nel sud dell’isola.

La produzione di questo delizioso vino rosso dolce conobbe in passato un periodo di grande notorietà, riconosciuto e premiato in diverse mostre italiane ed internazionali, è uno dei pochi e unici vini liquorosi in Italia che possono affiancarsi ai grandi e ben noti vini iberici quali Porto e Madeira. Il Girò, vitigno a bacca nera, è impiegato per la produzione di molte tipologie: dry con un grado alcolometrico di 14,0°, liquoroso 17,5°, liquoroso secco con 17,5° e liquoroso riserva. È previsto l’invecchiamento per la tipologia riserva, almeno due anni, di cui uno in botte.
 
Si presenta con un intenso rosso rubino dai bagliori aranciati ed eleganti profumi che ricordano confettura di ciliegie, caramello e cotognata; in bocca è consistente e vellutato, equilibrato e fine per dolcezza e calda suadenza. Queste doti lo rendono adatto ad essere abbinato con formaggi stagionati e saporiti, dolci a base di mandorla e crostate con confetture. La Denominazione di Origine Controllata del vino Girò di Cagliari viene riconsciuta nel 1972.

17.02.2012
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)

…poiché le parole sono come il vino:
hanno bisogno del respiro e di tempo

perché il velluto della voce riveli

il loro sapore definitivo.
Luis Sepùlveda (1949)