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martedì 3 dicembre 2013

Bari. Beni confiscati: assegnato immobile all'Arma. 18 dicembre Forum regionale

Nella foto il vice ministro Filippo Bubbico
Qualche giorno fa nel quartiere di Santo Spirito di Bari, in vico Traversa, si è svolta una sobria cerimonia nel corso della quale è stato consegnato il nuovo immobile che ospiterà la nuova sede del Comando Stazione Carabinieri di Bari-Santo Spirito. Numerose le autorità presenti, tra cui il viceministro dell’Interno senatore Filippo Bubbico, il prefetto di Bari Mario Tafaro, il presidente della Provincia di Bari Francesco Schittulli, il sindaco di Bari Michele Emiliano, il comandante della Legione Carabinieri Puglia generale Claudio Vincelli e il comandante Provinciale di Bari colonnello Rosario Castello. Nel corso della cerimonia, che ha visto impegnato anche un picchetto d’onore e una rappresentanza dell’Associazione Nazionale Carabinieri, il Viceministro dell’Interno e il Prefetto di Bari hanno consegnato simbolicamente le chiavi della caserma al comandante della Stazione luogotenente Giuseppe Remini. La cerimonia si è conclusa con il canonico taglio del nastro e una visita ai locali, che a breve ospiteranno il presidio dell’Arma.

Un nuovo stabile significa funzionalità ed efficienza a diretto beneficio dei cittadini, infatti la Stazione di Bari Santo Spirito ha una forza di 11 militari e opera su un territorio molto vasto che comprende i quartieri di Santo Spirito, Palese, San Pio e Catino, per una popolazione totale di circa 35mila abitanti, che cresce in modo esponenziale durante il periodo estivo. All’interno dell’immobile anche diversi alloggi di servizio per le famiglie dei militari e camerate per i celibi, ciò garantirà una sostanziale presenza di personale anche fuori dai normali orari di servizio. Uno sforzo congiunto delle varie amministrazioni dello Stato (Interno, Provincia e Comune) ha consentito di realizzare questa importante infrastruttura destinata all’Arma dei Carabinieri, superando le enormi difficoltà di bilancio determinate dalla contingente situazione economia del paese.

A questo episodio si aggiunge un appuntamento importante: Libera Puglia e la Regione Puglia hanno organizzato per il 18 dicembre a Bari il primo Forum regionale dei Beni Confiscati, rientrante all'interno del progetto Libera il Bene e in preparazione del forum organizzato da Libera nazionale. Si tratta di una giornata di incontri, discussione e formazione che nasce con l'intento precipuo di mettere a confronto i soggetti gestori dei beni confiscati in Puglia, il mondo istituzionale e quello dell'associazionismo, oltre agli operatori di settore, i ragazzi dei campi antimafia e dei laboratori della legalità democratica e i frequentanti delle summer school di Libera. 

Le attività, che si concentreranno dalle 9 alle 18, e si terranno presso il laboratorio urbano ‘Officina degli Esordi’ di Bari, si articoleranno in due momenti. Al mattino, dalle 9 alle 13, in cui si terrà una tavola rotonda dal titolo ‘Succede in Puglia. Le buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati’ con rappresentanti delle cooperative e soggetti istituzionali. Al pomeriggio, dalle 15 alle 18, ci si riunirà in tre gruppi che lavoreranno sulle tematiche trattate dalle campagne di Libera. Argomenti dei gruppi: ‘Libera il welfare’ e ‘Impresa bene comune’.

Obiettivo del Forum, è riunire tutte le parti interessate e proporre un confronto attivo tra soggetti coinvolti a diversi livelli (regionale, nazionale) nella gestione dei beni confiscati per far emergere le criticità normative e, nel contempo, per sottolineare, attraverso le esperienze sul campo, quelle che sono le esperienze positive, presentandole, in tempo di crisi, come una possibile soluzione alla crisi stessa. Per partecipare all'evento e richiedere i moduli di iscrizione, potete contattare il Coordinamento regionale Libera Puglia agli indirizzi e-mail: 
beniconfiscati.puglia@libera.it e stampa.liberapuglia@gmail.com.

giovedì 31 ottobre 2013

Bari. Mafia: minacce al giudice Milto De Nozza. La solidarietà di Libera Puglia

Foto google.com
Le minacce rivolte al magistrato della Procura di Brindisi, Milto De Nozza, sono l'ennesimo, vile, tentativo di colpire, anonimamente, chi ha messo la propria attività a servizio della collettività. La sola e più grande risposta a queste minacce è agire il cambiamento nel quotidiano. In Puglia, a Foggia e a Bari, molte associazioni, raccogliendo gli appelli dei coordinamenti di Libera, hanno reagito alla violenza allestendo calendari di iniziative che, a partire dalla cultura,  provino a lanciare messaggi che simbolicamente invitano alla coesione, a rompere l’isolamento di chi si batte quotidianamente contro la criminalità organizzata. A chiedere ai cittadini di essere responsabili e protagonisti. Lanciamo lo stesso appello alle associazioni brindisine.


Da sempre, l'illegalità si alimenta delle debolezze e dello sfilacciamento della parte sana delle comunità, traendone vantaggio e forza. E allora è indispensabile che, nella condanna della violenza e nella vicinanza a chi lotta per il bene comune, voci e azioni si fondano per dare finalmente corpo a una reazione collettiva.

Intanto a Bari si è concluso domenica scorsa 27 ottobre, con grande successo di pubblico, il festival 'I luoghi della legalità', evento organizzato da Libera Puglia e dal Momart, con l'Arci Puglia, la Regione Puglia e il Comune di Bari-Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata. 

mercoledì 4 settembre 2013

Magistratura Democratica al fianco di Libera contro la criminalità in Puglia

I magistrati baresi, nel rispetto della sobrietà che contraddistingue l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, daranno sicuramente il loro contributo alle iniziative promosse da Libera per fronteggiare la recrudescenza criminale degli ultimi mesi. I fatti di sangue, nella città di Bari, in provincia, nella provincia di Foggia, sono gravi ed impongono la mobilitazione di tutte le parti sane della società. Impongono, ancora prima, alcune riflessioni.

I fenomeni criminali non si possono combattere solo con le forze dell’ordine e la necessaria forza repressiva dello Stato, inevitabilmente, interviene quando la convivenza civile è già incrinata. Si deve, dunque, andare alle origini dell’affermazione della criminalità organizzata. La sua forza militare ed economica poggia sulla debolezza delle istituzioni pubbliche e del tessuto sociale ed economico. Tanti sono gli esempio emersi nella cronaca agostana.

Il lavoro, nelle campagne e nei cantieri, passa assai spesso dai caporali, che inquadrano cittadini italiani e stranieri come nuovi schiavi, li sfruttano, alterano la concorrenza fra imprenditori, sbaragliano le regole del mercato del lavoro, inducendo i più furbi a vivere dei sussidi per la disoccupazione in agricoltura ed i più disperati a morire di fatica. Se i cittadini non trovano, nel luogo di lavoro, l’ambiente per conoscere e fare valere i  loro diritti, difficilmente potranno diventare, nella vita quotidiana, massa critica conto le pratiche mafiose.

I dati della dispersione scolastica sono in aumento. I tagli alle spese pubbliche penalizzano gli interventi sociali, riducono il numero delle scuole e rendono costosi i trasferimenti dal paese in cui si vive al paese in cui si deve frequentare la scuola. Quanti di questi fattori incidono sulla scelta dei genitori di non “portare” i figli a scuola? L’ordinamento scolastico consente, con l’utilizzo dell’arma disciplinare della sospensioni ripetute e per molti giorni, ai dirigenti scolastici, in concorrenza fra loro per accaparrarsi il maggiore numero di iscritti, di allontanare dal percorso scolastico gli alunni più difficili, le cui intemperanze fanno cattiva pubblicità alla scuola che frequentano. Se proprio la scuola, che dovrebbe includere nella società italiana soprattutto i ragazzi che “da soli” non ce la fanno, diventa il luogo dove si impara la segregazione, difficilmente i giovani cittadini si sentiranno parte di una collettività sana e forte, presupposto indefettibile per reagire alle prepotenze dei potentati criminali.

Le restrizioni all’accesso al credito spingono famiglie ed imprenditori nelle braccia degli usurai. La diffusione dei locali adibiti all’acquisto di “oro” è l’evidente sintomo del disagio di chi rinuncia ai “tesori” di famiglia per tirare avanti. Se i circuiti dell’economia legale diventano così difficili, difficilmente i nostri imprenditori resisteranno alle tentazioni dell’economia criminale.

Insomma, i temi di discussione sono tanti e nessuno si può dire indifferente alla lotta alla criminalità, che, se diventa solo tema di ordine pubblico, è lotta persa in partenza. 

Giovanni Zaccaro 

segretario Magistratura Democratica Bari

venerdì 30 agosto 2013

Mafia a Bari. Libera: «allestiamo un calendario di iniziative per la città»

La foto che fu adottata qualche mese mese a seguito di
un altro omicidio di mala nel capoluogo pugliese
Dopo l'ultimo omicidio consumato a Bari, il coordinamento provinciale di Libera, a firma del suo referente Alessandro Cobianchi, ha pubblicato una lettera aperta alle associazioni in cui invita a reagire. Di seguito la lettera.


Quando, in occasione dell’omicidio di Giacomo Caracciolese, lo scorso aprile, abbiamo deciso di lanciare la campagna 'Spàrano? Via da Bari', stavamo maturando, come Coordinamento provinciale di un’associazione schierata quotidianamente in difesa dei temi antimafia, due convinzioni. La prima era una consapevolezza concreta. Ovvero, a Bari si sarebbe sparato ancora perché ogni omicidio, da sempre, ha contribuito a schiudere vasi di violenza. La seconda era una riflessione sulla nostra azione: le parole rabbiose e indignate non avrebbero – di certo non da sole – fermato le sparatorie. Stavamo solleticando le mafie, senza incutere loro il minimo timore.   

L’omicidio di ieri sera a Poggiofranco, che ha visto cadere sotto i colpi della malavita Felice Campanale, è solo l’ultima di una lunga serie di conferme su queste due riflessioni. Dunque, ora, l’imperativo categorico è quello di domandarsi: che fare? Innanzitutto, c’è da chiudere il cerchio dell’autocritica e della critica, provare a riassemblare i cocci, ristrutturare un mondo (quello dell’antimafia) che va, spesso, in ordine sparso, alla rinfusa, per rilanciare un’azione nuova. Ma per rilanciare c’è bisogno di essere forti. Ecco dunque l’urgenza impellente di mettere in campo la rete, rafforzando alleanze che, nel corso del tempo, sono andate perdute o si sono indebolite nella pletora di singoli eventi. Urge ora ridare un senso a queste sinergie, marcarle e nettarle nell’inchiostro dell’impegno e non solo in quello della teorizzazione.

C’è da ricostruire un tessuto urbano sfibrato dal disimpegno e divenuto socialmente traballante. Serve pertanto fare massa critica, nel senso più vero dell’espressione. Massa: perché dobbiamo contarci ed essere in tanti, coscientizzare e comunicare la necessità della partecipazione attiva. Critica: per non accettare più  luoghi comuni, le mere dichiarazioni d’intenti cui fa seguito soltanto il silenzio. Bisogna provare a fare realmente opinione, incidere sui vissuti delle persone, incontrandole fisicamente per far capire loro che ci siamo.

Ci sia consentito quindi fare una proposta: chiediamo alle associazioni, alle scuole, alle parrocchie, a tutti i gruppi impegnati nel sociale di destinare una giornata del proprio impegno all’organizzazione di un’iniziativa a favore della città al fine di allestire, tutti insieme e fin dai prossimi giorni, un calendario unitario di iniziative a sostegno della legalità.

Siamo convinti che questa, lungi dall’essere la risoluzione definitiva del problema, possa comunque rappresentare una prima, importante, risposta corale della comunità barese alla violenza e l’inizio di un raccordo sociale che punti sulla coesione quale momento nodale del contrasto alle mafie.

Per il Coordinamento provinciale
il referente
Alessandro Cobianchi

sabato 20 luglio 2013

Luglio tra calure estive e tragici anniversari. Le infinite storie di mafia

Il 12 luglio di dodici anni fa veniva ucciso per errore Michele Fazio. Quest'anno, come ogni anno, numerose associazioni legate e non alla rete di Libera e tanti singoli cittadini, alla presenza delle istituzioni cittadine hanno ricordato l'avvenimento. 

Ma luglio è anche il mese in cui viene ricordato il sacrificio del giudice Paolo Borsellino e degli uomini e le donne della sua scorta, ucciso dal deflagrare del tritolo in via D'Amelio a Palermo il 19 luglio del 1992. Oggi a 21 anni da quell'avvenimento le ombre anziché disperdersi si sono allungate. A questo proposito copio dal sito del professor Nicola Tranfaglia, storico delle mafie, lo scritto che riporto di seguito assieme all'indirizzo web.   
V.S.


di Nicola Tranfaglia

L’estate di questo strano 2013 ha portato la prima sentenza sul 1992, anno che tutti ricordiamo per le stragi di Capaci e di via d’Amelio e che sarà seguita nell’autunno con ogni probabilità dal processo centrale sulle trattative tra mafia e Stato che vede alla sbarra (o comunque imputati) accanto ai capi mafia detenuti (tra i quali Riina, Brusca e Bagarella), due politici importanti come l’ex presidente del Senato Nicola Mancino, l’ex ministro per il Mezzogiorno Calogero Mancino e gli ufficiali del Ros Carabinieri  Mori e Obinu  assolti ieri perché il fatto non sussiste. Ossia perché la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano nel giugno 2006 a Mezzojuso  è avvenuta senza che ci fosse da parte loro un dolo, cioè la commissione di un reato di favoreggiamento nei confronti del capomafia latitante. 

Non è la prima sentenza del genere nei confronti di Mori che venne assolto all’indomani della cattura di Salvatore Riina quando fu imputato di analogo reato per la mancata perquisizione del covo del boss, ordinato dalla procura palermitana  subito dopo l’arresto avvenuto a Palermo il 15 gennaio 1993. Anche qui i giudici si trovavano di fronte a un fatto sicuramente avvenuto e imputato proprio al Ros dei Carabinieri (in particolare a Mori e a De Caprio, il mitico comandante Ultimo) competenti per l’azione da compiere e decisero di assolvere gli imputati. La sentenza di Palermo dichiara con ciò inattendibili la testimonianza del colonnello Riccio dei Carabinieri di Palermo e del pentito Massimo Ilardo assassinato a sua volta nel 1996 dai mafiosi siciliani e non spiega chi siano i colpevoli di quella mancata cattura come della mancata perquisizione di tre anni prima. Insomma aumentano  le tenebre che sicuramente alcuni uomini e alcuni pezzi dello Stato e della politica hanno interesse a mantenere sulle trattative del '92-93. Perché è difficile, per non dire impossibile, che quelle trattative non ci siano state.   

Ricordo io stesso di aver scritto più di un editoriale nella seconda metà degli anni novanta  sull’Unità  diretto allora  da Concita de Gregorio che dicevano apertamente come le trattative ci fossero state e lo dimostrava la revoca di oltre trecento misure di 41 bis da parte del ministero in carica allora. Ma a mano a mano che gli anni sono passati e le associazioni mafiose  piuttosto che afflosciarsi e diventare più deboli, sono diventate invece più forti e prospere, con il ritorno della destra al potere e poi del governo tecnico  quelle trattative sono diventate sempre più difficili da accettare da parte delle nostre classi dirigenti. Così oggi mentre il nostro parlamento sembra avere qualche difficoltà a istituire una nuova commissione di inchiesta sulle mafie, come pure chiedono tutte le associazioni culturali che si occupano di questi problemi (a cominciare dall’associazione 'Pio La Torre' che ha scritto in questi giorni ai presidenti delle Camere per sollecitare l’iniziativa), incominciano a diffondersi anche nelle aule giudiziarie i dubbi sul recente passato e su quelle trattative proprio mentre tutto quello che succede oggi in Italia e nel mondo dovrebbe condurci a guardare con grande attenzione alle pagine oscure ma significative del rapporto tra mafia e politica. 

Ma la giornata di oggi diciannove luglio 2013 è dedicata alla memoria di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta che morirono con lui in quell’assolato pomeriggio palermitano di fronte alla casa di sua madre in via D’Amelio per una bomba di centinaia di chili di tritolo di cui fu imbottita l’auto centoventisei Fiat posta di fronte all’abitazione cui il giudice siciliano era diretto. Le interviste che tre giornali (Il Corriere della Sera, l’Unità e Il fatto quotidiano hanno fatto rispettivamente al procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, all’ex senatore Giuseppe Lumia e al procuratore di Palermo Sergio Lari) non hanno aggiunto notizie importanti  al complesso dei fatti che sono oggetto del processo in corso sulla trattativa tra mafia e Stato né alla spiegazione delle ragioni che hanno condotto ieri i giudici di Palermo ad assolvere gli ufficiali dei carabinieri Mori e Obinu.   

L’unico grande quotidiano che ha dimenticato del tutto  l’avvenimento è mi dispiace doverlo ricordare  la Repubblica di Ezio Mauro, occupata a tempo pieno a celebrare il governo delle «larghe intese» Pd-Pdl di Enrico Letta, sostenuto a corpo morto dal presidente della repubblica, Giorgio Napolitano. La verità dei fatti, per chi si è dedicato con i suoi studi al fenomeno mafioso, è che ancora grandi ombre pesano sui rapporti tra mafia e politica nella storia d’Italia. Non nel senso che quei rapporti non ci siano stati, o che non abbiano riguardato problemi importanti del nostro passato come, con ogni probabilità, del nostro presente ma piuttosto  nel senso che non siano stati così importanti e decisivi da condurre a modificare comportamenti rilevanti degli organi istituzionali, politici o giurisdizionali, e favorire la battaglia delle associazioni mafiose da sempre attive nella conquista di un potere sempre maggiore nella nostra società. 

C’è una difficoltà  da superare che  giudici come Falcone e Borsellino siano stati eliminati perché percepiti come ostacoli in  una guerra senza quartiere contro Cosa Nostra, che altri giudici (come Livatino,  Scopelliti, Saitta o Terranova e Bruno Caccia a Torino) o ancora politici (penso a Pier Santi Mattarelli) siano stati uccisi per le stesse ragioni e che, a distanza di venti o più anni dai fatti sicari o mandanti di quegli omicidi, siano ancora a tutti gli effetti impuniti. E ancora per chi scrive è difficile ammettere, come scrive l’illustre prof. Fiandaca, che trattare con Cosa Nostra sia dal punto di vista del diritto penale indifferente o addirittura lecito. Non è espressione di una visione «politi cistica» o, come scrive Fiandaca «sostanzialistica», sostenere che una trattativa mafia-stato sia un aspetto indubbio del rapporto tra lo stato di diritto che regge la nostra costituzione democratica  e le associazioni mafiose e che esprime la malattia di fondo che affligge la nostra repubblica.  

Sono ancora convinto, come scrivono magistrati del passato come Falcone e del presente come Caselli, che trattare con la mafia significa accantonare la lotta contro di essa, cercare una composizione con le sue pratiche, la coabitazione con i suoi metodi, in altre parole accettarne le regole di fondo. 

giovedì 18 aprile 2013

'In direzione ostinata e legale': domani la II edizione alla Laterza a Bari


Domani alle 18,00 presso la libreria Laterza di Bari si terrà il secondo incontro con 'Tracce - rassegna di libri sulle mafie',  in particolare sarà presentato, in collaborazione con la storica libreria barese e l'associazione Donne in Corriera, il libro 'L’Italia quaggiù. Maria Carmela Lanzetta e le donne contro la ‘ndrangheta': un libro duro e profondo insieme, che racconta storie di ordinaria resistenza al femminile in Calabria.

Saranno presenti, oltre all'autore Goffredo Buccini, Maria Carmela Lanzetta, Maddalena Tulanti , Eugenia Pontassuglia. L'evento rientra all'interno del progetto 'In direzione ostinata e legale', giunto alla seconda edizione, realizzato in collaborazione con Arci Puglia, Libera Puglia e con l'Agenzia per la lotta non repressiva alla criminalità organizzata del Comune di Bari.

Il libro, come detto, è la cronaca d’un faticoso viaggio nella primavera delle donne calabresi, dentro la ribellione delle "pentite" di ’ndrangheta e il coraggio di molte madri e figlie, spose e sorelle di dire infine no, giorno per giorno, alle regole arcaiche d’un universo omertoso e misogino. Una cronaca raccontata attraverso gli occhi e la storia di Maria Carmela Lanzetta, sindaca di Monasterace, che ha subito due attentati mafiosi per il solo azzardo di avere riportato legalità e normalità nel piccolo Comune del reggino che amministra dal 2006. La vicenda di questa tenace amministratrice calabrese s’intreccia con quella di altre donne come lei: da Elisabetta Tripodi, sindaca di Rosarno, sotto scorta come Lanzetta e minacciata dai clan egemoni del paese, a Katy Capitò, giudice per le indagini preliminari di Locri; da Giuseppina Pesce a Maria Concetta Cacciola, fino a Lea Garofalo, torturata e uccisa per avere denunciato il suo compagno ’ndranghetista.

mercoledì 6 marzo 2013

Mafie e antimafie trasnazionali: a Bari domani si discute di Messico


Domani 7 marzo alle ore 17,30 si chiude il ciclo di seminari Corrotti, organizzato dal coordinamento di Libera Bari. Dopo aver analizzato i rapporti tra corruzione e merito, corruzione ed economia e corruzione e politica, allargheremo l'orizzonte alla dimensione internazionale, anche sulla scia dell'adesione di Libera nazionale al Social Forum mondiale di Tunisi di fine marzo.

Come già nelle occasioni precedenti, il dibattito, che sarà animato da Stefano Fumarulo (referente Libera per il Messico), si svolgerà nell'Aula Magna Aldo Moro della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Bari. Durante la serata saranno raccolte le adesioni per Firenze e sarà possibile firmare le due campagne che stiamo portando avanti a livello nazionale: Riparte il Futuro e Io riattivo il lavoro.

Essendo un evento di grande rilevanza (anche internazionale: sarà in collegamento skype Carlos Cruz, educatore di strada messicano) e andando a completare l'ottima discussione innescatasi attorno al tema della corruzione proprio grazie al ciclo di incontri, è auspicabile  una massiccia presenza. Questo anche per dare, una volta di più, un segnale di forte coesione attorno a una tematica che, di qui a poco, entrerà nell'agenda politica del prossimo governo.

martedì 11 dicembre 2012

Le “Scampie” d’Italia e le mafie che contaminano: la testimonianza di don Aniello giovedì 13 a Gioia del Colle


Via libera al decreto Liste Pulite. I condannati in via definitiva a pene superiori ai due anni per i delitti, consumati o tentati, di maggiore allarme sociale (ad esempio mafia, terrorismo, tratta di persone) e per coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, contro la Pubblica amministrazione (ad esempio corruzione, concussione, peculato) non potranno essere candidati al Parlamento italiano ed europeo, né potranno assumere incarichi di governo. Fuori dalle liste anche chi ha riportato condanne definitive a pene superiori a due anni reclusione per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. Dentro gli indagati, i condannati in primo grado anche a pene superiori ai due anni, i condannati in secondo grado in attesa del terzo grado di giudizio. 

Questo è l'ultimo aggiornamento dai palazzi romani. In realtà non una gran cosa, in quanto restano fuori, come detto, gli indagati, i condannati in primo grado (anche a pene superiori ai due anni) e i condannati in secondo grado in attesa del terzo grado di giudizio. Quindi le notizie per quanto in apparenza possono sembrare buone, ma che in realtà lo sono un placebo, si scontrano con la quotidianità delle città e delle periferie d'Italia. Un'occasione per ascoltare un'esperienza e confrontarsi su questi temi è stata organizzata a Gioia del Colle per giovedì 13 dicembre, alle ore 18 presso il chiostro comunale. A testimoniare l'operato di ogni giorno sarà don Aniello, prete di strada, operante a Scampia e proprio la Legalità e Cittadinanza Attiva: le “Scampie” d’Italia e le mafie che contaminano sarà il tema dell'incontro. 

11.12.2012
Vito Stano