La
Sardegna e il vino hanno sempre avuto un legame forte e antico che affonda le
sue radici nel passato nuragico. Studi recenti su
reperti archeologici rinvenuti in alcuni siti nuragici propongono
l’affascinante tesi della presenza di attività enologiche già in quell’epoca (dal 1700 a.C. al 300 a.C.).
In
Sardegna la vite è parte integrante del paesaggio, è presente quasi ovunque,
dalle pianure più fertili vicino al mare sino all’alta collina, alle zone più
interne dove spesso la coltivazione della vite è ancora legata ad antiche tradizioni.
La vitivinicoltura ha sempre svolto un ruolo importante nell’economia agricola
sarda. La conformazione del territorio di questa regione consente una
viticoltura moderatamente intensiva, caratterizzata da una produzione enologica
di elevata qualità, che in alcune aree raggiunge l’eccellenza. Utilizzato prima come mezzo di scambio e poi come oggetto
di fiorente commercio, il vino è diventato nel corso dei millenni un messaggio
di cultura e di civiltà per tanti popoli e nell’isola l’antico legame con
l’uomo perdura immutato da secoli lontani.
È quasi certo che la vitis vinifera, al
pari dell’olivo, sia una pianta autoctona e selvatica della regione, tanto che
i popoli sopraggiunti non portarono il ceppo o il sarmento, bensì l’arte
dell’innesto, della coltivazione e le tecniche di produzione e di
conservazione del vino. Fin dalle
origini più remote la Sardegna ha beneficiato dell’apporto di popolazioni
estranee susseguitesi nel dominio dell’isola. Popolazioni semitiche, cretesi e
fenicie, crearono le loro basi di appoggio in diversi punti della costa: tra
queste Tharros e Kalaris che divennero importanti e prosperose colonie.
Seguirono i punici, i romani e i bizantini. I fenici, grandi viticoltori, ma
anche esperti navigatori, nell’intento di dare maggiori opportunità di sviluppo
ai loro commerci nel Mediterraneo centro-occidentale, diffusero la coltura
della vite proprio nelle aree attorno alle colonie. I punici troveranno una
viticoltura già impostata che, in virtù di rapporti più intensi con il popolo
sardo, diventerà coltura dominante nelle colonie di Kalaris, Tharros, Cornus,
Nora e Olbia.
Con
la violenta estromissione dei Punici da parte dei Romani, inizia per la
Sardegna un lungo periodo di dominazione di cui sono rimaste numerose
testimonianze archeologiche relative alla vitivinicoltura praticata in
quell’epoca. Di particolare importanza la scoperta dei numerosi vinaccioli,
risalenti allo stesso periodo, ritrovati negli strati sottostanti lo stesso
nuraghe Arrubiu ad Orroli in provincia di Cagliari, e riconducibili a vitigni
autoctoni ancora presenti. Sono state rinvenute delle zone adibite a veri e
propri laboratori enologici datati tra il II e il IV secolo d.C, provvisti di
vasche per la pigiatura dell’uva, basi di torchi e contenitori vari.
L’epoca
romana finì verso la metà del V secolo con le invasioni vandaliche; le
distruzioni e l’abbandono delle colture che si accompagnarono a questo periodo
portarono ad una successiva ripresa dell’intensa attività agraria ad opera dei
bizantini, ai quali si deve, oltre alla normativa culturale piuttosto rigorosa
e dettagliata, l’introduzione di nuovi vitigni. Sotto la sovranità dell’impero
romano d’oriente la Sardegna conobbe un lungo periodo di crisi
economico-sociale; le attività commerciali, ormai prive del diretto controllo
dell’autorità di Bisanzio, subirono un declino irreversibile. Si ebbe un
intenso movimento migratorio verso le zone rurali dell’entroterra. Seguì la
Sardegna giudicale e quindi la regione fu suddivisa in quattro giudicati, vere
e proprie entità statali autonome. I giudicati conobbero l’influsso
dell’architettura romanica e successivamente di quella gotica catalana, e
culturalmente mutarono in modo sostanziale. Il giudice governava sulla base di
un patto con il popolo, il cosiddetto bannus-consensus,
venuto meno il quale il sovrano poteva essere detronizzato ed anche
legittimamente ucciso dal popolo medesimo, senza che questo incidesse sulla
trasmissione ereditaria del titolo all’interno della dinastia regnante.
Con
la caduta dei giudicati in Sardegna iniziò una nuova fase storica
caratterizzata da un nuovo assetto politico-amministrativo signorile e comunale
ispirato ai modelli peninsulari, che si protrarrà fino alla completa conquista
aragonese alla conseguente unificazione del Regno di Sardegna prima spagnola e
poi sabauda.
Sebbene
la Spagna uscisse allora per sempre dalla storia della Sardegna, il lungo
contatto dei sardi con la cultura prima catalano-aragonese e poi spagnola
lasciò tracce durature. Per i governanti sabaudi che seguirono fu molto
difficile estirpare usi e forme culturali profondamente radicati. Nella lingua
sarda poi le impronte lessicali iberiche sono ancora evidenti, così come nei
costumi, nelle grandi feste religiose e in molte forme di socializzazione.
Bisogna ammettere che, anche se il periodo spagnolo sia considerato quello più
buio dell’isola, una parte del patrimonio culturale sardo ancora oggi rivela
vincoli profondi di affinità e condivisione con quello della penisola iberica.
Una cultura enogastronomica ricca di contaminazioni e quindi molto interessante.
Ci sono vitigni autoctoni che sembrano bandiere della Sardegna e
prodotti che raccontano storie e vite di questa terra.
27.01.2013
Giulio Stano
(sommelier Ais Puglia)
Nessun commento:
Posta un commento